Grazie all’autorizzazione del gruppo Class e dell’autore, pubblichiamo l’analisi di Guido Salerno Aletta uscita sul quotidiano Mf/Milano Finanza diretto da Pierluigi Magnaschi
Da Bruxelles, dopo gli auspici e le raccomandazioni sul rispetto del Patto di stabilità e crescita, espressi a conclusione della riunione dei Ministri delle finanze svoltasi martedì scorso, è arrivata subito una legnata, tanto per far capire che non sono più i Governi a potersi autoassolvere, e che il bastone lo tiene saldamente in mano la Commissione.
Il neo Presidente Jean-Claude Junker ha approfittato di una intervista al Frankfurter Algemeine Zeitung per dimostrarsi pienamente in linea con l’intransigenza espressa dalla Cancelliera Angela Merkel, a mala pena messa in sordina dall’intervento in apparenza conciliante del Ministro delle finanze tedesco Wolfgang Schauble in vista della riunione dell’Eurogruppo. Serviva solo un po’ di diplomazia, giusto per evitare tensioni al tavolo dei Ministri, tanto a far rispettare le regole ci pensa la Commissione.
LA RAMPOGNA DI JUNCKER
E così, ieri Junker ha affermato che se l’Italia e la Francia non procederanno con le riforme annunciate si arriverà ad un “inasprimento della procedura sul deficit”. In conclusione, “se alle parole non seguiranno i fatti, per questi Paesi non sarà piacevole”. Più che scolaretti, gli Stati sembrano teppistelli da mandare al riformatorio, quello tedesco s’intende. La scadenza per la verifica dei progressi è già fissata per marzo: da Roma si attendono “misure efficaci”, “necessarie per consentire un miglioramento dello sforzo strutturale”.
TRA OCSE E FISCAL COMPACT
La verità è che il Fiscal Compact ha dato luogo a un’applicazione incomprensibile ai più, un latinorum su cui gli stessi addetti ai lavori non hanno le medesime idee: infatti, se si adottassero i criteri di calcolo usati dall’Ocse, l’Italia si troverebbe in una situazione molto migliore rispetto a quella che deriva dall’utilizzo di quelli dell’Unione europea. Invece di avere un avanzo, abbiamo ancora parecchia strada da fare: tra processo di avvicinamento al pareggio strutturale ed output gap dopo anni di recessione, si discute di manovre e di riforme socioeconomiche di cui nessuno riesce a dimostrare la reale portata.
LE PROVOCAZIONI DEL POPOLARE
Quella di Junker, ieri, è stata una dichiarazione volutamente provocatoria, per spostare l’attenzione sull’Italia e sulla Francia rispetto a quanto sta accadendo in Grecia: non solo Atene non è ancora uscita dal programma di assistenza internazionale, nonostante tutti i proclami, le rassicurazioni ai mercati ed i compiacimenti espressi anche dalla Cancelliera Merkel, ma si sta dimostrando sempre più flebile il sostegno democratico al Governo Samaras. Gli elettori greci stanno solo aspettando di poter dire la loro, la piazza ateniese pazienta per non dare adito ad interventi di repressione: prima o poi, si tornerà al voto.
LE CONTRADDIZIONI DELL’EUROPA
Meglio parlare dell’Italia e della Francia, mettersi un bel canocchiale per guardare avanti alle riforme che devono essere approvate ed alle scadenze di marzo, piuttosto che fare un bilancio di quanto è accaduto in questi anni, soprattutto all’Italia che ha dovuto addirittura anticipare di un anno il pareggio strutturale del bilancio, finendo per cadere in una recessione che ha mandato alle stelle il rapporto debito/pil e la disoccupazione. L’Europa è fatta così: corre sempre in avanti per non cadere nelle sue contraddizioni, si dà regole sempre più rigide ed astruse per ridurre al minimo la libertà dei governi e dei popoli.
L’OCCASIONE SPRECATA DELLA PRESIDENZA ITALIANA
Si conclude così il semestre di Presidenza italiana: abbiamo sprecato una occasione straordinaria per chiedere la revisione del Fiscal Compact ed un nuovo Statuto per la Bce. Invece di mettere sotto accusa una politica economica devastante, ci siamo limitati a chiedere flessibilità. Se il Ministro Padoan ieri ha cercato di minimizzare, affermando che non c’è alcun ultimatum da Bruxelles perché le riforme vanno fatte comunque, il Direttore Generale del Fmi, Christine Lagarde, in visita a palazzo Chigi, ha sostenuto ancora una volta la necessità che l’economia italiana torni a crescere. E’ la sponda che ci serve, perché da Bruxelles, con questo “braccio preventivo” del Patto di stabilità e di crescita, ci stanno davvero stringendo il collo.