Immaginate una legge elettorale che assegni il 65 per cento dei seggi alla coalizione che raggiunga il 50 per cento più uno dei voti validi espressi. Sarebbe senza dubbio più plausibile e meno esposta di quella oggi in discussione a eventuali rilievi della Consulta.
Sessant’anni fa, al contrario, quella legge fu considerata un imbroglio e divenne teatro di una “patria battaglia” che appartiene alle mitologie della storia repubblicana. Ma, come per tutte le mitologie, il suo nucleo di verità è controverso.
La “legge truffa” del 1953 (la definizione si deve forse a Piero Calamandrei) è stata infatti interpretata sia come un cupo episodio della restaurazione postbellica, sia come il tentativo di garantire una governabilità messa a repentaglio dalla frammentazione partitica.
In ogni caso, per considerarla con il dovuto distacco non si può prescindere dal clima politico interno e dal quadro internazionale in cui essa era maturata. Alcide De Gasperi doveva fare i conti con una Dc divisa e con alleati inquieti, peraltro in una fase in cui le tensioni tra i due blocchi – inasprite dallo spettro del conflitto coreano – si riverberavano pesantemente sul nostro paese.
È in questo contesto che si colloca il disegno di “democrazia protetta” del leader democristiano. Per usare la sua celebre metafora dell’autobus, lo Stato non doveva più essere solo il controllore che si occupa unicamente di timbrare i biglietti dei passeggeri, ma doveva decidere chi poteva e chi non poteva salirvi. Da qui il sistema maggioritario escogitato per blindare la formula centrista.
Sappiamo come andarano le cose. Il quorum necessario per la sua approvazione non scattò per cinquantasettemila voti, a fronte di un milione e trecentomila schede invalidate. Piovvero accuse di brogli sul Pci. Ma De Gasperi, che era una persona seria, attribuì al famigerato “assalto alle preferenze” la causa del numero elevatissimo di voti nulli.
A questo punto, qualcuno potrà chiedersi perché ho ricordato questa ormai vecchia pagina della storia politica italiana. Beninteso, stabilire analogie tra il passato e il presente è sempre un’operazione con un che di arbitrario. E poi siamo in un mondo radicalmente nuovo, d’accordo. Tuttavia, si pensi al “Partito della nazione” teorizzato da Renzi e alla filosofia della governabilità che sta dietro all’Italicum (ancorché riveduto e corretto).
Il modello del “partito pigliatutto” e l’idea della “democrazia protetta”, in fondo, continuano a piacere molto anche a sinistra.