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Lo strano caso del dottor Draghi e mister Weidmann

Sembra proprio che valga, per il banchiere centrale, la celebre massima che l’immenso Stevenson mise il bocca al suo dottor Jekyll allorquando scoprì che “l’uomo non è veracemente uno, ma veracemente due”. D’altronde mi dico pure che non dovrei stupirmi: anche un banchiere centrale è un uomo, dopotutto e malgrado faccia del suo meglio per sembrare una calcolatrice dotata di spirito.

Peraltro mentre mi convinco di tale circostanza, mi accorgo pure di poterne avere un esempio pleclaro sotto gli occhi guardando allo strano caso, per dirla con le parole dello scrittore inglese, del dottor Draghi e mister Weidmann.

Impossibile non notarlo. I due eminenti banchieri europei sono ormai assurti allo scomodo ruolo di macchietta l’uno dell’altro, ovvero una versione affievolita, per non dire bancaria, della celebre coppia poliziotto buono/poliziotto cattivo che affolla le fiction di genere. D’altronde, mi dico pure, anche il central banking ormai è una fiction di genere.

Tanto Draghi è clemente e ridanciano, tanto Weidmann, forse perché boss della temutissima Bundesbank, è acido e sibilante. Le sue parole affilate risuonano nell’aere bancario come revolverate, ogni volta.

Come quando il 21 novembre scorso, parlando di regolazione bancaria al Frankfurt European Banking Congress, ha iniziato il suo atteso, e come sempre temuto, intervento ricordando che nel 1300 i banchieri catalani che non erano in grado di onorare le proprie obbligazioni erano costretti a nutrirsi di pane e acqua finché non avessero adempiuto ai loro doveri verso i clienti.

Tale suggestione medievale fa molto Weidmann, e chi lo conosce ne converrà. Tanto più se recitata lo stesso giorno nel quale il dottor Draghi impersonava la sua migliore imitazione del giovane Werther, esibendo i tanti dolori cui lo costringe il suo mandato di presidente che deve fare i conti con un’eurozona piena di debiti e per di più vittima di un declino dell’inflazione che poco si confà al suo mandato.

E infatti i media ci sono andati a nozze. Il dottor Draghi e il suo cattivissimo alter ego mister Weidmann sullo stesso palco lo stesso giorno. Che delizia sarebbe stata per uno scrittore di spirito raccontarlo.

Poiché nessuno l’ha fatto, mi è toccato contentarmi di leggere Weidmann che disquisiva di regolazione bancaria, materia astrusa e particolarmente noiosa, atteso che l’unico scopo di questa pratica è far passare ai banchieri la voglia di giocare con i soldi, o quantomeno, appunto, di regolarla.

Ciò a fronte di una storia che ci dice, e il caso medievale raccontato da Weidmann è esemplare, come non ci sia mai riuscita davvero. Vale per la regolazione la massima popolare per la quale fatta la legge si trova l’inganno. Ma mister Weidmann, che interpreta con perfetto spirito teutonico la hybris prometeica del nostro tempo, mostra volontà di ferro e nervi d’acciaio. Ne fa tutta una questione di coraggio e responsabilità.

Ed ecco allora un florilegio di metafore per farsi capire. “Le banche medievali e quelle contemporanee – spiega paziente – sono simili quanto un carretto a una Ferrari. E tuttavia entrambi possono essere coinvolte in brutti incidenti se il guidatore percorre le strade troppo velocemente e in maniera irresponsabile”.

Ecco, nella menzione della responsabilità ritrovo mister Weidmann in tutta la sua eloquenza e ripenso al povero dottor Draghi mentre prova a convincere il suo alter ego letterario che la Bce non farà nulla di avventato, ossia non ortodosso, quando si tratterà di aumentare “composizione e volume del proprio bilancio” per soccorrere col rimedio terminale dei soldi gratis l’economia europea.

Immagino la faccia di mister Weidmann e mi godo la sua sublime arte di vindice quando, evitando di commentare le parole di Draghi, si dilunga su roba funambolica come le nuove regole di Basilea III, la direttiva CRD IV e CRR approvate dal parlamento europeo, i nuovi requisiti di leverage ratio e altre amenità, che hanno come unico scopo quello di purgare i banchieri amanti dell’azzardo, e che mi convincono che la vera crudeltà, oggi, è far sprofondare il mondo nella stessa minestra in cui si alimenta.

Così mi figuro il dottor Draghi a rigirar il mestolo, del calderone dove ci siamo infilati, e mister Weidmann a infilarci dentro gli ingredienti più piccanti o amari. Perché tanto dovremo sorbircela questa broda, ci piaccia o meno. E nessuno, tantomeno un banchiere, ci offrirà un digestivo.

Infatti mister Weidmann già preconizza di andare oltre Basilea III, un mondo fantastico dove le banche hanno un capital ratio intorno all’11%, dove oggi invece è fissato all’8%, mentre il dottor Draghi giura che rilasserà il suo appetito per i collaterali più rischiosi, comprando Abs. Il bastone e la carota.

Così come mentre Mister Weidmann nota che il sistema delle banche ombra è cresciuto di altri 5 trilioni nel 2013, arrivando su scala globale a 75, il dottor Draghi insiste sull’importanza dell’Unione bancaria come strumento per far tornare la fiducia nelle banche europee, come se il problema delle banche ombra in Europa fosse marginale e non invece una simpatica conseguenza non intenzionale del serraggio regolatorio.

Ma è proprio sull’Unione bancaria che si osserva la prima convergenza. L’astuto mister Weidmann ne tesse le lodi, pure se a suo modo. Sottolinea, con sottile perfidia, che già ai tempi della Commissione Delors Wim Duisenberg, che della Bce fu anche presidente, insisteva sulla necessità di una supervisione unificata, “ma alla fine degli anni ’80 i politici europei non erano pronti”. Ci è voluta la crisi perché cambiassero idea. Col che si deduce della considerazione che mister Weidmann abbia del personale politico. Lo stesso che, come ebbe a dire il dottor Draghi poco tempo fa, se non farà le riforme non sarà più rieletto.

Ma il piatto forte di Weidmann è senza dubbio il bail in, la vera novità della regolazione europea, capace di assorbire, a spese dei creditori e non più degli stati, tutte le perdite che l’irresponsabile guidatore della Ferrari dovesse, uscendo fuori strada, provocare.

E questo, insieme alla ineludibile necessità di spezzare il legame fra banche e debito sovrano è il vero cavallo di battaglia di mister Weidmann. L’esortazione a eliminare il trattamento preferenziale dei titoli di stato nella regolazione, immancabile nelle allocuzioni del nostro banchiere, arriva lo stesso giorno dell’annuncio del dottor Draghi che la Bce è pronta a qualunque passo, “pur nel rispetto dei trattati”. Ossia a comprare qualunque cosa.

Sta a vedere che il rischio sovrano, dalla pancia delle banche, finisce in quella della Bce.

Ma sono sfumature, se uno va a vedere bene. Anche perché negli stress test della Bce il rischio sui titoli di stato è stato quotato eccome, rimuovendo gradualmente i filtri prudenziali. E le banche, a cominciare dalle nostre, hanno iniziato liberarsi dei titoli di stato, spaventate come sono dal market toast seguito agli stress test.

Alla fine, entrambi concludono con lo stesso appello a far le riforme strutturali. E poi con una novità, ripetuta nei giorni successivi, che suona come clamorosa: il dottor Draghi arriva a invitare i governi a fare politiche espansive e mister Weidmann ricorda che sì, effettivamente, la Germania ha un certo spazio fiscale per rilanciare gli investimenti.

Nelle conclusioni i banchieri che sono “veracemente due”, per dirla alla Stevenson, si riscoprono “veracemente uno”, seppure con svariate sfumature di grigio.

E lo strano caso rivela la sua natura di gioco della parti.

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