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Ecco come si difende il Lussemburgo dalle accuse di fare trucchetti fiscali

Dopo Luxleaks, il Lussemburgo cambia rotta. Almeno a sentire le parole del ministro delle Finanze Pierre Gramegna, in missione in Italia negli scorsi per diffondere l’idea che il suo Paese sia in realtà un moderno centro finanziario internazionale e venga scelto da istituzioni e aziende per l’elevata qualità dei servizi che offre (e non per i vantaggi fiscali).

COS’È LUXLEAKS

La vicenda è divampata sui giornali di 31 Paesi in tutto il mondo come un bubbone fastidioso: le autorità del Lussemburgo avrebbero stretto accordi segreti con trecento aziende internazionali, di cui 31 italiane, per spostare flussi finanziari enormi pagando tasse minime. Amazon, Ikea, Deutsche Bank Procter&Gamble, Pepsi e Gazprom. E in Italia banche tra cui Intesa San Paolo e Unicredit o aziende pubbliche come Finmeccanica. Si tratta, come ha sintetizzato L’Espresso, che ha avuto l’esclusiva per l’Italia, di “un’emorragia di fondi, perfettamente legale, che sottrae risorse dall’economia del resto dell’Ue”.

PERFETTAMENTE LEGALE

“Perfettamente legale”, ed è questo il vero problema, il quid da cambiare. Per iniziare questo percorso “un mese fa 57 deputati lussemburghesi su 60 hanno votato a favore di una legge nazionale per abolire il segreto bancario a partire dal gennaio 2015 – ha spiegato a Milano Gramegna, in perfetto italiano, forte delle sue origini nel Belpaese – Non solo. Abbiamo anche siglato lo scambio automatico di informazioni in base a uno standard elaborato dall’Ocse e in base a quanto stabilito dalla Convenzione di Berlino. Questo scambio sarà a regime a partire dal primo gennaio 2017”. Altri Paesi, come l’Austria, hanno chiesto una proroga di un anno per adeguare i sistema tecnologici delle banche a questa necessità. “Non noi – continua Gramegna – il Lussemburgo si è decisamente mosso da una cultura del segreto a una cultura di servizio. Oggi puntiamo decisamente sulle competenze, per quelle vogliamo essere scelti”.

TROPPO FACILE PUNTARE IL DITO SUL LUSSEMBURGO

In realtà, la possibilità di offrire condizioni favorevoli sulla tassazione non è mai stata prerogativa di un solo Paese. “In almeno 25 dei 28 Paesi dell’Ue – continua Gramegna – esiste il ruling: una decisione unilaterale di un’amministrazione che stabilisce quale passaggio di un codice fiscale si debba adottare nelle transazioni internazionali. In alcuni casi, l’interazione delle leggi nazionale può portare al risultato che le aziende paghino tasse minime o nulle. Ma il Lussemburgo non vuole questo. I nostri cittadini non lo accettano, soprattutto dopo la crisi. Perciò, troppo facile puntare il dito solo sul Lussemburgo”. I cui ruling sono peraltro trasparenti, non sono secretati cioè alle autorità fiscali stranieri. “È un problema che si può risolvere solo cooperativamente, con il contributo di tutti i Paesi dell’Ue”.

LA CRISI IN LUSSEMBURGO

Ovviamente anche se la difesa d’ufficio di Gramegna è comprensibile, resta il peso morale di aver sottratto risorse fiscali all’Europa e a Paesi in maggiore difficoltà come l’Italia. Tanto più doloroso visto che la sottrazione proviene da uno dei Paesi fondatori dell’Unione. “Le finanze pubbliche hanno sofferto molto in tutta l’Unione – conclude Gramegna – anche in Lussemburgo il debito pubblico è passato dal 7 al 25% in tre anni e con questo ritmo arriveremo al 60% nel 2018, alla fine di questa legislatura. Non è qualcosa di sostenibile. Soprattutto perché il nostro obiettivo è conservate la tripla A che nell’Eurozona ha solo la Germania, oltre noi”.

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