Grazie all’autorizzazione del gruppo Class editori pubblichiamo il commento di Tino Oldani apparso su Italia Oggi,il quotidiani diretto da Pierluigi Magnaschi
I miliardi di euro con i quali si è ingrassata la mafia di Roma, i cui tentacoli andavano dal Comune alla banda della Magliana, erano soldi di tutti i contribuenti italiani, non solo di quelli romani. E’ bene sottolinearlo. In un Paese normale, dovrebbe bastare questo perché anche il capo del governo intervenga al più presto, e non con banali dichiarazioni di circostanza (come ha fatto il ministro Maria Elena Boschi a Otto e mezzo), ma dichiarando lo stato di emergenza per Roma Capitale, con provvedimenti che diano un segnale concreto della volontà di «cambiare verso».
In gioco non c’è solo l’immagine di Roma, che non sembra cambiata affatto da quando l’Espresso titolò «Capitale corrotta, nazione infetta», ma dell’Italia intera e del suo governo.
Ecco perché, di fronte all’enormità delle malefatte politiche scoperchiate, il minimo che Matteo Renzi dovrebbe fare è azzerare l’intera giunta del Campidoglio, e nominare un commissario-manager completamente estraneo ai giochi politici: uno con il pugno di ferro, aiutato da una squadra di manager spietati, che, per alcuni anni, possa avvalersi di pieni poteri per tagliare, licenziare e bonificare l’intera amministrazione del Campidoglio, dagli assessorati alle troppe società controllate, una più dissestata dell’altra (Atac e Ama in testa), così da restituire un minimo di credibilità nelle istituzioni da parte dei cittadini onesti, quelli che pagano le tasse.
Non spetta a noi fare nomi. Ma visto che Renzi ha appena nominato suo consigliere economico Andrea Guerra, ex ad di Luxottica, manager stimato in campo internazionale, in mancanza di meglio, lo metta subito all’opera in Campidoglio, senza perdere un solo minuto. Che i miliardi usati dalla giunta di Gianni Alemanno prima, e da quella di Ignazio Marino poi, per ingrassare la mafia siano soldi di tutti gli italiani, lo ha documentato pochi giorni fa una relazione riservata del ministero del Tesoro, rivelata da Federico Fubini su Repubblica.
Si tratta di circa 300 pagine e tabelle, con le quali la Ragioneria generale dello Stato ha radiografato i bilanci del Campidoglio dal 2008 ad oggi, dunque un periodo che comprende sia la giunta di centrodestra di Alemanno, che quella di sinistra di Ignazio Marino (Pd), in carica dal 2013. In questi cinque anni, non bastando mai le entrate locali, lo Stato, per evitare il default del Comune di Roma, ha versato nelle casse capitoline contributi fissi (580 milioni l’anno) e contributi variabili (da 485 a 885 milioni) per un totale di 4 miliardi di euro, attinti dal gettito tributario nazionale. «Nessun altro comune italiano, fra le centinaia oggi in dissesto, ha mai goduto di un trattamento tanto privilegiato» ha scritto Fubini.
Un privilegio del tutto immeritato, a giudicare dall’uso criminale che ne è stato fatto. Esaminando i bilanci della giunta Alemanno (2009-2012), i tecnici della Ragioneria hanno accertato che «nonostante le difficoltà finanziarie che hanno indotto lo Stato nel 2008 ad accollarsi il debito pregresso del Comune di Roma, tale giunta abbia continuato ad aumentare progressivamente la spesa corrente». L’ex sindaco Alemanno viene accusato di non avere compiuto «alcuno sforzo per riportare in equilibrio i conti, nemmeno quando si trattava di far cessare comportamenti palesemente illegittimi».
Quali fossero questi comportamenti, la relazione della Ragioneria non lo dice. Ma a colmare la lacuna ha provveduto ora l’inchiesta giudiziaria che ha portato all’arresto di 37 imputati, in testa il boss della Magliana, Massimo Carminati, oltre a un totale di cento indagati tra politici e malavitosi, compreso l’ex sindaco Alemanno e alcuni suoi stretti collaboratori, da lui messi a capo delle aziende municipali che facevano affari con la mafia.
Secondo gli ispettori della Ragioneria, anche la giunta di sinistra di Ignazio Marino ha riprodotto gli stessi meccanismi. Tanto è vero che «a seguito del cambio di amministrazione, la situazione non sembra aver fatto registrare particolari miglioramenti». Insomma, al pari di Alemanno, il sindaco Marino «ha dimostrato una notevole celerità nell’avanzare richieste di supporto allo Stato, mentre ben poco ha fatto per attivare entrate proprie». Una pietra tombale sulle parole con cui, ancora ieri, il sindaco Marino ha tentato di proporsi come il salvatore di Roma pulita.
Come hanno confermato le intercettazioni dei carabinieri, la spartizione di favori e mazzette con la mafia ha accomunato in Campidoglio la destra e la sinistra fino a ieri. Tra i nomi di spicco a sinistra, Luca Odevaine, ex capo di gabinetto di Valter Veltroni, e quello di Italo Politano, capo dell’anti-corruzione della giunta Marino, rimosso ieri. Un uomo per tutte le stagioni è stato invece Salvatore Buzzi, ex detenuto, braccio destro del boss Carminati, presidente di una cooperativa rossa, amico a sinistra del ministro del Lavoro, Giuliano Poletti, ma anche finanziatore a destra della campagna elettorale di Alemanno. I soldi? Buzzi costruiva campi nomadi per conto del Comune, otteneva gli appalti pagando mazzette e incassava milioni di euro. Una vera «Fogna Capitale», che Renzi non può ignorare, ma soltanto azzerare.