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Mafia Capitale? Perché il Corriere della Sera sbaglia con Galli della Loggia

Galli della Loggia, migranti

Riceviamo e volentieri pubblichiamo

Dopo l’arresto del sindaco di Venezia, dopo le vicende travagliate dell’Expo, sulla testa dei nostri poveri connazionali casca adesso anche lo scandalo romano: un intreccio di malavita trucida, di inquinate società di ex galeotti aderenti alla Lega delle cooperative che si mischiano a rottami della destra più estremista. Il tutto condito da favori politici illeciti generosamente spartiti a destra come a sinistra.

L’effetto di questo nuovo scandalo – e di come è trasmesso mediaticamente – è il senso di impotenza registrato da un editoriale di Ernesto Galli della Loggia: ormai è la criminalità che fa le leggi e non c’è quasi più niente da fare.

D’altra parte fu proprio il Corriere della Sera in sintonia con la Confindustria di Luca Cordero di Montezemolo a lanciare, quando falliva il governo Prodi da loro ampiamente sponsorizzato, la campagna contro “la casta”, cioè un ceto politico responsabile della rovina dell’Italia non tanto per incapacità ma quasi per una stigmate etnica.

Questa tendenza a dare tutto per spacciato per affidare a “un altro” (in prima battuta la magistratura e subito dopo un qualche sistema di influenza internazionale sia americano o tedesco) riflette l’atteggiamento di élite che intendono sovrastare la vita di questo nostro povero Stato senza dovere mai rispondere delle loro posizioni e dei loro poteri: questo atteggiamento segna anche quei settori dello Stato che non perdono occasione per trasformare la sacrosanta lotta al crimine in uno spettacolo di scandali pieno di son et lumière. Senza che mai sia consentito discutere né i risultati che un certo tipo di intervento penale implica né le contraddizioni di un sistema che continua a produrre mostri. Il principale dei quali è che gli scandali che esplodono sono perlopiù sotto agli occhi di tutti da anni: ogni trattativa illegale sull’Expo era svolta sotto la sorveglianza delle microspie della procura milanese da mesi e mesi, le porcheriole di sfigati personaggi come Gianstefano Frigerio e simili erano state registrate ben un anno prima da pm che preferirono lasciar perdere anche perché (con qualche ragione) erano concentrati nell’impegno a contrastare la presenza dell’n’drangheta.

Che il Mose di Venezia fosse oltre che un’opera di una qualche utilità anche un modo per finanziare tipo Iri della decadenza (e se si risale agli inventori se ne scorge il dna) un sistema di potere consociativo nel quale il comune di sinistra viveva d’amore d’accordo con la regione presieduta da Giancarlo Galan, era noto anche all’ultimo gondoliere. Sulla cosiddetta mafia romana alcuni magistrati avevano addirittura scritto romanzi diventati poi sceneggiati nei quali erano descritti i criminali arrestati anni e anni dopo l’uscita di queste opere di “fantasia”.

Provo il naturale disgusto di tutti nel leggere delle grandi porcate e delle piccole porcheriole compiute sulla pelle del bene pubblico ma questo non mi impedisce di continuare a cercare di vedere il quadro d’insieme e non solo gli effetti spettacolari su si vorrebbe che ci si concentrasse.

L’Italia ha standard di legalità gravemente deficitari rispetto alle grandi nazioni europee comparabili con la nostra: dalla Gran Bretagna alla Francia, dalla Germania alla stessa Spagna. Ma questo non dipende da una nostra tara – in certi ambienti quel che ci si rimprovera perlopiù è di non essere protestanti – ma da un difetto di fondo del nostro Stato. Non è come fa intendere della Loggia che lo Stato si sta disfacendo perché noi siamo cattivi, ma al contrario siamo cattivi perché lo Stato si è a un certo punto disfatto.

Uno Stato condizionato da una diffidenza verso il popolo e incline per ciò a una certa subalternità a influenze straniere sin dalla sua nascita, ulteriormente indebolito da due guerre e il fascismo, segnato da ordinamenti costituzionali per parte fondamentali dettati dalla paura per il passato e per il futuro e quindi sostenuto essenzialmente dagli equilibri della Guerra fredda, entra in crisi quando questa finisce ma non viene riformato innanzi tutto per la resistenza elitistica.

Questo è lo Stato che produce nella sua disgregazione i mostri con cui in modo ricorrente ci troviamo a fare i conti. Certo ci sono uomini dello Stato che fanno spesso con efficacia il loro dovere: i Raffaele Cantone, i Giuseppe Pignatone, i Mario Mori, i Giampaolo Ganzer con i suoi Ros. Ma anche i migliori magistrati devono concedere molto allo spettacolo (e la gestione delle intercettazioni è l’aspetto più eclatante di questa necessità) per fare il proprio dovere. Mentre gli uomini che più hanno inciso nella lotta alla criminalità – come appunto i Mori o i Ganzer- sono anche quelli più perseguitati da un certo tipo di giustizia.

Mentre siamo dolorosamente colpiti dalle miserie che lo scandalo romano rivela, non possiamo però non vedere come certe derive di affidare il risanamento della nostra società solo alla giustizia penale (come dimostrano 22 anni di vari tipi di Mani pulite) portano a disgregare la nostra sovranità popolare e dunque la nostra sovranità nazionale. E d’altro lato constatare che proprio i più fedeli servitori dello Stato sono quelli messi sotto accusa, ci fa comprendere come mantenersi fedeli al proprio Paese sia diventato più o meno una colpa.

Prima di cercare le possibili vie d’uscita, devo confessare un’angoscia di fondo perché la disgregazione in atto è potente, lo sbandamento dell’opinione pubblica è terribile, gli interessi che pensano sia meglio affidare l’Italia a qualche troika piuttosto che alle decisioni del suo popolo sono formidabili.

Confessato questo mio sentimento quasi di scoramento, si discuta pure su quel che è possibile fare.

La premessa essenziale è che non se ne esce se non si riforma lo Stato: senza un nuovo esecutivo che risponda al popolo (scegliete voi il tipo di presidenzialismo che preferite americano o francese: sapendo peraltro che il caos del nostro attuale presidenzialismo, non regolato e per ciò più dipendente da Bruxelles che dal popolo italiano, è una delle fonti principali del nostro caos attuale), senza un Parlamento che sia meno centrale ma proprio per questo più in grado di intervenire (cioè non più piegato a colpi di fiducia a decidere senza discutere), senza un sistema di decentramento rivisto rispetto al fallimento delle regioni e alle leggi monche (prive di un vero criterio nella definizione delle responsabilità) su sindaci e province, senza un europeismo che non offenda le sovranità nazionali come avviene oggi, senza una riforma della magistratura che renda più efficace ma anche meno politicizzata l’azione penale nonché quella civilistica (e non vedo come posso avvenire senza separazione delle carriere), senza queste riforme nel medio periodo non vi è orizzonte di salvezza.

Senza un’idea generale di come ridare ai cittadini uno Stato “loro” e non né dei partiti né di élite perlopiù subalterne a influenze straniere occuparsi, solo di emergenze è come svuotare una vasca che abbia il rubinetto aperto. E dunque, solo definito l’orizzonte, sarà possibile fare le scelte di cui c’è bisogno: da forme di lotta alla corruzione che non siano delegate alla pura repressione penale ma siano intrinseche all’azione amministrativa (forme di auditing pervasive con forte responsabilizzaizoni di chi le gestisce, definizioni di standard gestiti informaticamente che permettano di cogliere l’emergere di anomalie in ogni appalto o piano regolatore, banche dati esaustive su chiunque operi con il settore pubblico) a interventi per colpire ogni naturale luogo di corruzione (monopoli e oligopoli nella gestione di interventi pubblici, organismi di gestione della cosa pubblica elefantiaci e lottizzati: bisogna andare verso gli amministratori unici che rispondano a trust di controllo non di intervento nelle cose correnti) fino a nuove forme di vera partecipazione politica (tipo primarie) sostenute grazie innanzi tutto a forme razionali di finanziamento (tipo 8 per mille o detassazioni) dalla volontà dei cittadini.

Il mio appello è a non far finta di niente: la situazione anche evidenziata dallo scandalo romano è gravissima. Ma bisogna imparare bene la lezione del ’92: se ci si affida puramente all’ondata moralistica e agli stati d’animo si finirà solo per rendere più subalterno il nostro Paese ai sistemi di influenze straniere come è avvenuto appunto dopo il ’92 con le privatizzazioni alla Prodi o l’euro alla Ciampi.

Combattiamo i corrotti da subito, dunque. Ma ricostruiamo uno Stato degno della nostra Patria.


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