Non si capisce perché le fughe di parlamentari grillini siano lette come decisive per eleggere il successore di Giorgio Napolitano. Si sprecano i commenti sulle possibilità che Matteo Renzi acquisirebbe, grazie a tali abbandoni. Bisogna almeno ridimensionare tali attese a fini quirinalizi, se non quasi azzerarle.
Il segretario del Pd dovrà trattare con i titolari di pacchetti di voti. Quindi, per restare in casa sua, con i vari Bersani, Civati, D’Alema, Cuperlo ecc. Poi, se la vedrà con i responsabili dei partiti alleati. L’individuazione fisica è complicata, perché i nuovi gruppi di Area popolare continuano a far riferimento ai vertici del Ncd e dell’Udc, mentre non è chiaro chi possa dirigere la trentina di grandi elettori di Scelta civica.
Passando sopra il pulviscolo di sigle di centristi che sostengono il governo, Renzi dovrà ovviamente intendersela con Silvio Berlusconi (che può contare diciamo sui due terzi dei propri grandi elettori), con Raffaele Fitto, con Matteo Salvini e con i proprietari dei voti grillini. Ma non potrà intendersela con gli ex grillini, almeno finché dureranno le condizioni attuali.
Chi insiste sul numero di 26 abbandoni (computandovi i tre dimissionari di ieri l’altro) ha ragione numericamente, ma non politicamente. Vi sono eletti pentastellati che sono trasmigrati a Sel (il deputato Adriano Zaccagnini), al Pli (il partito formalmente esiste ancora, vi ha aderito il deputato Ivan Catalano), ad Area popolare (la senatrice Fabiola Anitori), al gruppo per le Autonomie (il senatore Lorenzo Battista).
Altri ve ne sono in procinto di passare al Pd: si dice tale sia la prossima mossa di Tommaso Currò, da qualche giorno transitato nel misto di Montecitorio. La ventina di ex grillini liberi non è stata finora capace di unificarsi, nonostante tre tentativi di costituire altrettante strutture di collegamento. Al presente, ciascuno di loro conta per sé stesso: uno vale uno, per usare uno dei motti preferiti nella propaganda dei cinque stelle.
Se Renzi fosse nelle condizioni in cui si trovava Romano Prodi nel suo ultimo governo (quando doveva tenersi legati senatori a vita, diniani, mastelliani, riottosi vari, eletti all’estero, lavorandoseli a uno a uno), allora dovrebbe bussare alla porta di ciascun eletto grillino che ha abbandonato la propria casa. Così non è, quindi non gli resta che attendere, per questa fetta di grandi elettori, un’eventuale unificazione delle anime perse del grillismo.
Se, insomma, si registrassero altri abbandoni (le cronache sono ricche di elenchi perfino lunghi di deputati e senatori pentastellati insoddisfatti) e se vecchi e nuovi dissidenti riuscissero a mettersi sotto una sigla unica, solo allora potrebbero divenire un interlocutore per Renzi.
Sarebbero, in teoria almeno, un interlocutore unico, nel senso di disporre, poniamo, di venti voti sicuri. Oggi, si tratta di una ventina d’interlocutori, ciascuno dei quali va per la propria strada.