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Perché Matteo Salvini può piacere. Parla Marcello Veneziani

Grazie all’autorizzazione del gruppo Class editori pubblichiamo l’intervista di Goffredo Pistelli a Giovanni Orsina apparsa su Italia Oggi.

C’era una volta la destra «Dio, patria, famiglia». Nell’Italia degli anni ’70, quando ancora la politica poneva i post-fascisti del Msi-Movimento sociale italiano in un cantuccio, «fuori dall’arco costituzionale» si diceva, si trattava di un mondo che andava dalle frange militanti e più giovanili della destra estrema a grandi spezzoni di elettorato Dc, di un moderatismo duro, law and order, sottotraccia ma capace di affiorare in movimenti come la «Maggioranza silenziosa», condotta sfilare per le strade milanesi da un peone della politica come Massimo De Carolis.

Una destra che fu sdoganata nel 1993 in Alleanza nazionale e che poi si dissolse nel Pdl prima e in Forza Italia poi. Come un’aspirina in un bicchier d’acqua. Mentre la la variante neogollista di Gianfranco Fini morì praticamente in culla.

Un mondo che parrebbe riaggregarsi, secondo qualcuno, intorno alla bandiera neolepenista di Matteo Salvini. Un mondo di cui è attento osservatore Marcello Veneziani, giornalista e scrittore, classe 1955, di Bisceglie (Bari), e firma de Il Giornale.

Veneziani, c’è chi scorge nei consensi crescenti per la Lega neolepenista di Salvini, corroborata dalle recenti regionali emiliane anche se non in termini assoluti, una rinascita della destra italiana.

Mah, io non vedo una destra incorporata in qualche realtà politica o culturale. Vedo una realtà più di anima e che di corpo. Non c’è un giornale, non ci sono siti internet: è una destra allo stato gassoso, un’area diffusa, magari anche cospicua, ma che non ha ancora la possibilità di esprimersi in maniera forte.

E che destra c’è dentro il populismo di Salvini? Parla alla pancia o al cuore degli Italiani.

Il partito di Salvini ha sempre parlato alla pancia del Paese, già ai tempi di Umberto Bossi. Oggi, per un fenomeno di rifrazione, guardando Marine Le Pen, diventa un riferimento possibile per la destra italiana. Sopratutto perché agita il malcontento nei confronti dell’Europa, un argomento che esercita un certo fascino. Però, aldilà di questo…

Aldilà di questo?

Non so come se la possa cavare, un partito che ha parlato di Padania, di macroregioni, che ha fatto la battaglia anti-italiana e antiromana, con le ragioni di una destra nazionale ed europea.

Eppure, nella manifestazione milanese di alcune settimane fa, a Milano, abbiamo visto i leghisti sfilare con una componente della destra radicale come Casa Pound. Tatticismi?

Certamente ci sono stati da parte di Salvini, che ha lanciato messaggi e cercato proseliti a destra, con una certa duttilità e una grande sveltezza, per quanto sia davvero estraneo a quell’ambiente e a quel milieu, avendo un itinerario politico completamente diverso.

Salvini attecchisce per mancanza di proposte alternative?

Certo. Fratelli d’Italia non ha mai decollato: Giorgia Meloni è brava ma non è riuscita a strutturare un partito intorno a sé; Alleanza nazionale è fallita e ne resta solo un’area d’opinione mentre la «pascalizzazione» in atto di Silvio Berlusconi non attrae l’elettorato di destra a Forza Italia.

A proposito di B., che ha rinnovato recentemente il patto del Nazareno e che, malgrado l’imminente «Tax day» e l’insistenza anche dei suoi intimi, continua a non attaccare il governo e Matteo Renzi. Lei che idea si è fatto? Qual è la strategia del Cavaliere?

Ho l’impressione che, da qualche tempo, la preoccupazione primaria non sia di ordine politico, anche perché il centrodestra difficilmente potrà tornare a vincere anche sei i sondaggi diano ogni tanto qualche vaga speranza. Lui preferisce la linea di un rapporto diretto con Renzi, forse per un’uscita soft dalla politica, certamente per un paio di fattori: da un lato, una simpatia vera e in pelle, in partibus infedelium, cioè nella terra degli infedeli, dall’altro una preoccupazione reale per il gruppo economico che gli appartiene.

Nello schieramento di centrodestra, c’è qualche movimento nuovo. I giovani della Cosa Blu, hanno promosso un incontro a Milano, a cui si sono affacciati in molti, tra cui il più lucido è sembrato Daniele Capezzone, con la sua piattaforma neoliberista.

Ho visto, ma il neoliberismo mi pare un frammento davvero piccolo dell’elettorato oggi, aldilà l’attivismo di alcuni esponenti. Il grosso della destra è composto da cattolici non progressista e dalla destra nazionale e neogollista. Un mondo che mi pare indisponibile sia per i neoliberisti, sia per Salvini, ma che non trova un leader che venga dalla sua storia e ne abbia almeno un po’ l’anima.

Secondo alcuni il leader che la destra attende, c’è già: è Renzi.

Renzi può esercitare un grosso appeal nella parte moderata dell’elettorato, con l’idea di partito della nazione. D’altra parte, in passato, quell’area aveva subito il fascino di Bettino Craxi. Del leader socialista piaceva il decisore mentre, in Renzi, piace l’affabulatore che sa convincere col dinamismo, laddove Craxi colpiva con i richiami al Risorgimento e alla nazione. Dopodiché, a destra, vedono da chi il segretario del Pd sia circondato e con chi debba fare i conti e, forse, qualche scrupolo se lo fanno venire.

Ma i valori della destra di un tempo, ossia patria, famiglia, stato unitario, onore ecc. ecc., ci sono ancora in questo pezzo d’Italia? O si sono deteriorati?

Sono cambiati: magari oggi li troviamo nella bioetica, nella salvaguardia famiglia come luogo centrale della società, nell’idea di sovranità monetaria o popolare, nell’azione dello Stato e in rapporto a quello dell’Europa. Anche nell’aspetto caduco, con la vecchia destra c’è continuità.

E quanto potrebbe essere estesa quest’area?

Se stiamo al trend nordeuropeo, dovrebbe valere anche qui, in Italia, almeno il 25%, ossia un quarto dell’elettorato.

E a livello culturale? Scorge nella narrativa o nella cinematografia chi esprima o si richiami a quei valori o quelle sensibilità?

Mi resta difficile rintracciarlo. Forse anche perché la sinistra ha esaurito i filoni creativi e resta più che altro come potere e non come irradiazione di contenuti.

Pensatori di destra. Che cosa resta, anche all’Estero?

C’è Roger Scruton, il teorico del conservatorismo britannico, e Alain De Benoist in Francia, anche se un po’ isolato. Non c’è molto pensiero legato alle categorie della politica.

Non è detto che sia un male. O no?

Sì, certo, accettare il principio della fluttuazione delle idee è positivo e, oltretutto, ci libera dal concetto stesso dell’intellettuale organico, narcisista e che si scrive addosso.

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