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Perché Zhou Yongkang, l’ex capo della sicurezza cinese, è stato silurato

La tigre alla fine è finita in gabbia. Zhou Yongkang, ex potente zar della sicurezza, è stato espulso dal Partito comunista cinese e messo agli arresti. La notizia era attesa da almeno due anni, ma l’annuncio dato ieri verso la mezzanotte cinese non toglie importanza a quella che oggi è l’epurazione di più alto livello all’interno della nomenclatura, se non dalla caduta della Banda dei quattro alla fine della Rivoluzione culturale, almeno dalla crisi di Tian’anmen.

Nella passata dirigenza Zhou fu uno dei nove componenti del comitato permanente del Pcc, vero gotha del potere tra i palazzi di Zhongnanhai, il Cremlino cinese. Il suo nome era inoltre comparso a più riprese come quello del protettore e alleato di Bo Xilai, il deposto segretario del Pcc nella megalopoli di Chongqing, la cui epurazione ha tenuto banco negli anni passati, mettendo in evidenza le divergenze ideologiche e di potere all’interno di partito, percepito a torto come un monolite.

Zhou è accusato di aver violato la disciplina di partito, di aver diffuso segreti di Stato, di corruzione e di aver avuto numerose amanti.

Il cerchio attorno all’ex uomo di ferro del governo cinese si stava stringendo da almeno un anno. Nell’ambito della campagna anti-corruzione lanciata da Xi Jinping, erano finiti in carcere diversi suoi alleati. La campagna è stata particolarmente dura nel Sichuan, feudo politico del 72enne ex componente del comitato permanente, e colpendo tra gli altri la China National Petroleum Corporation, il più grande conglomerato energetico della Repubblica popolare di cui Zhou era stato anche direttore generale.

L’arresto di Zhou e le indagini aperte dalla Procura suprema del popolo sembrano inoltre voler lanciare un segnale forte e dimostrare che la campagna anti-corruzione non guarda in faccia a nessuno. Neppure gli ex alti dirigenti ne sono immuni. Un modo per legittimare l’immagine del Partito.

Come nota Gabriele Battaglia su China Files, il tempo trascorso dall’inizio delle indagini su un pezzo grosso del Partito e la sua espulsione e incriminazione formale si è velocizzato. Nel caso di Zhou si trattato di quattro mesi, rispetto ai cinque mesi e mezzo del caso Bo Xilai. Segno che forse le divisioni su come affrontare la vienda non sono state altretanto marcate. E forse anche della volontà di accelerare i tempi della giustizia.


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