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A proposito del Jobs Act

Il destino non è scritto. E’ quello che ci creiamo noi”

Terminator Salvation

 Nella vita ci giungono continuamente notizie: alcune buone, altre meno. La prima notizia (buona o cattiva lo deciderete voi) è che il Jobs Act non è ancora stato approvato al Senato. Sono arrivati alcuni emendamenti alla Camera che hanno suscitato reazioni contrapposte. La seconda notizia (buona) è che il lavoro è finalmente di nuovo al centro del dibattito pubblico, ma il rischio che vediamo è di insabbiare immediatamente gli elementi di novità tornando alle solite diatribe ideologiche.

Detto questo, l’unico cambio di passo possibile è nel passaggio dalle polemiche tra lavoro autonomo, dipendente e imprenditoriale, al “lavoro” senza altri aggettivi: un orizzonte di sviluppo basato sulla capitalizzazione personale delle competenze e delle conoscenze attraverso un’attenzione ossessiva ai processi formativi e ad un meccanismo di “continuità professionale” volto ad assicurare nel tempo le diverse modalità di esercizio.

La verità è che la cornice è cambiata. Sono già passati 13 anni del XXI secolo e, dalla metà degli anni ’90, siamo passati da un’economia in prevalenza industriale ad un economia della condivisione basata sulla Rete dove si vince solo se si alimentano costantemente lo scambio e l’innovazione. Non è più possibile essere competitivi investendo nel solo capitale materiale e finanziario.

E’ per questo che qualche tempo fa avevamo scritto che, per creare nuova occupazione, non bastavano provvedimenti relativi soloalla contrattualistica ma occorrevano alcune misure indirette ma fondamentali per indurre uno shock positivo come, ad esempio:

  •  una riqualificazione dell’IRAP che eliminasse i lavoratori dipendenti dalla base imponibile;
  • la realizzazione di una rete wi-fi aperta a tutti a partire dall’eliminazione delle password dei punti di rete già esistenti;
  • la consapevolezza operativa che il Sud Italia è l’area di interesse strategico che da sola rappresenta la priorità di qualsiasi azione.

Il primo punto, la riqualificazione dell’IRAP, dovrebbe essere (finalmente) un dato di fatto acquisito nella Legge di Stabilità: quanto al resto stiamo ancora (purtroppo) aspettando. Anche perché resta il problema degli investimenti nei percorsi formativi. Percorsi che devono rappresentare una delle infrastrutture più importanti e significative per il futuro del Paese.

Percorsi che devono essere oggetto di una rimodulazione rapida e totale affinché siano impostati non solo su competenze verticali (che diventano rapidamente obsolescenti) ma anche e soprattutto orizzontali (change management, inglese, networking, comunicazione, leadership, personal branding). Un sistema che disincentiva lo sfruttamento dei giovani e che porta le aziende a investire e capitalizzare sulle competenze dei propri lavoratori.

Ma c’è di più. Dobbiamo stare attenti: sappiamo che il Jobs Act è una legge delega e sarà un insieme di provvedimenti complessi che devono riguardare non solo le regole del lavoro, E qui la notizia è molto meno buona. Sono quasi 3,5 milioni i “dimenticati del jobs act”, professionisti e lavoratori autonomi che sono rimasti fuori da tutti i provvedimenti del Governo. Un numero impressionante: e, visto che oltre al danno c’è spesso anche la beffa, i contributi previdenziali loro richiesti (se non ci saranno ulteriori provvedimenti di blocco), continueranno ad aumentare per alimentare quella vera e propria gallina dalle uova d’oro che è la gestione separata dell’INPS.

Ieri è stato approvato un ordine del giorno alla Camera che impegna il Governo al blocco dell’aliquota. Ma un ordine del giorno non è una norma. E’ per questo che CONFASSOCIAZIONI rimane all’erta. Anche perché, insieme alle altre organizzazioni di rappresentanza del lavoro autonomo, siamo pronti, come ha detto qualche tempo fa un nostro illustre concittadino che si trova alla guida di una grande istituzione europea, a mettere in campo “misure non convenzionali”.

Della serie: vogliamo il blocco dell’aliquota a costo di fare “whatever it takes”.

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