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A Roma i partiti celebrano i funerali delle primarie?

Alla fine anche Giorgia Meloni, leader di Fratelli d’Italia-Alleanza nazionale, ha calato le carte annunciando ufficialmente la sua candidatura a sindaco di Roma. Tecnicamente non è una novità, dato che il suo nome circola da tempo, anche se con la bufera politico-giudiziaria su Gianni Alemanno gli entusiasmi nella destra romana non sono eccessivi, come si poteva evincere dagli umori domenica scorsa al Teatro Quirino a Roma.

Con la formalizzazione della scesa in campo della presidente di Fdi, ampiamente condivisa dalla Lega, la conferma di Alfio Marchini, nome gradito anche al Nuovo centrodestra di Angelino Alfano secondo le dichiarazioni di Fabrizio Cicchitto (salvo chiedere al ministro Beatrice Lorenzin un sacrificio in caso di emergenza) e non inviso a Forza Italia.

Sullo sfondo, a sinistra, c’è la rincorsa di Ignazio Marino verso la conferma di se stesso, avendo capito che il Partito democratico lavora già su altri candidati (Enrico Gasbarra e Lorenza Bonaccorsi?, e comunque quasi tutto è nelle mani di Matteo Orfini, commissario del partito a Roma).

Siccome la partita che si va giocando attorno al comune di Roma non è più periferica ma centrale, essendo strettamente connessa alla reale possibilità di elezioni politiche anticipate, è del tutto evidente come il valzer dei nomi di queste ore sia tutt’altro che un valzer. Anche perché il prossimo sindaco di Roma si ritroverà a dover gestire una pratica delicata, qual è la candidatura per le Olimpiadi del 2024. No solo. L’esplosione dell’inchiesta Mafia Capitale, che ha fatto emergere la fragilità del Pd nel tessuto romano e la dissoluzione del quel era rimasto della destra romana dopo l’esperienza Pdl, ha azzerato le primarie come metodo per la selezione della classe dirigente.

Le carte della procura di Roma hanno evidenziato come queste elezioni di strada siano permeabili, tanto a desta quanto a sinistra, offrendo a organizzazioni non proprio benefiche la possibilità di determinare il risultato. Per questa ragione il ritorno all’antico, ovvero la scelta dei candidati da parte delle segreterie, non è solo una necessità contingente, ma l’unica soluzione per salvare l’immagine della politica, compromessa da tangenti e mazzette.

E’ chiaro che la rinuncia maggiore potrebbe toccare proprio a Giorgia Meloni che delle primarie e delle preferenze aveva fatto il proprio cavallo di battaglia. La scomposizione del quadro politico capitolino, con il sostanziale azzeramento di centrodestra e centrosinistra (la convergenza di Ncd e Fi sul nome di Marchini è il paradigma del ragionamento) ha indotto la leader di Fdi ad uscire da guscio, mettendo in chiaro qual è la sua posizione, sostenuta dalla Lega di Salvini che vuole “marciare” su Roma in modo più deciso dei grillini. Sia pur con le dovute variazioni sul tema la stessa cosa sta avvenendo nel campo avverso.

La scelta fatta da Matteo Renzi di affidare il Pd romano al presidente del partito, Matteo Orfini, non è stata né casuale né improvvisata. Il premier, scegliendo il leader dei giovani turchi, ha tolto a Goffredo Bettini quel poco di potere che ancora aveva sulla Capitale. Orfini non dovrà solo riorganizzare la federazione romana ma dovrà, e potrà, gestire il dopo Marino.

In caso di elezioni politiche anticipate è del tutto evidente che si voterà anche per il comune di  Roma e Renzi non è affatto disposto a rischiare ancora la carta Marino. Per questa ragione l’orfinizzazione del Pd romano è già iniziata. A lato di tutto questo c’è l’offerta politica fatta ai moderati, che a Roma non sono affatto un peso elettorale marginale, dai Popolari di Mario Mauro. Il sottosegretario alla Difesa, Domenico Rossi, potrebbe essere la sintesi perfetta per tutti coloro che non si riconoscono né nella Meloni né in Alfio Marchini?

Da non dimenticare la posizione del Movimento cinque Stelle. Beppe Grillo, con il suo quintetto magico, ha provato a scalare il Campidoglio, dando l’assalto a Marino. Ma l’assenza di nomi spendibili e l’incapacità manifesta nel trovare una linea politica da offrire ai romani, non troppo sensibili al grillismo, stanno rendendo inutili gli assalti dei pentastellati. Che correranno da soli. Comunque vadano le cose.

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