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Ecco le ultime le sviste di Marianna Madia

“Il Jobs Act non si applica al pubblico impiego perché questi lavoratori vengono assunti per concorso”. Se queste parole le avesse pronunciate un sindacalista di professione non ci sarebbe stato nulla di cui stupirsi, tranne la falsità del contenuto, ma il fatto che rappresentino il cuore della spiegazione data, su uno degli atti più importanti del governo, dal ministro pro tempore competente per materia, Marianna Madia, allora ci sono tutte le sacrosante ragioni per fare le valigie e lasciare definitivamente il Bel Paese. Perché anche all’improvvisazione e al dilettantismo c’è un limite, superato il quale è bene lasciarli al loro destino senza alcun progetto.

Secondo la Madia il superamento dell’articolo 18 vale per tutti tranne che per i pubblici impiegati e per la semplice ragione che questi passano le “forche caudine” di un concorso pubblico. E per dei concorsi pubblici, sommersi di interrogazioni e interpellanze parlamentari circa la loro legittimità e regolarità, il ministero della Madia si è già segnalato alle cronache e non è certo l’esempio giusto da prendere a riferimento. Tramite una selezione, quindi l’equivalente di un concorso, vengono assunti tutti i lavoratori privati. Se un giovane laureato vuole essere assunto al marketing della Barilla oppure al trading in Banca Intesa, lo stesso si deve sottoporre a serie e selettive prove di esame. Ben più complesse dei temini di diritto vario che vengono dati agli aspiranti impiegati pubblici per essere assunti nella burocrazia.

Nel mondo di oggi ogni lavoratore è intervistato, analizzato, giudicato, valutato eppoi, eventualmente, assunto da una società for profit. Per quale misteriosa ragione questo processo selettivo è ostativo per i neo assunti nelle imprese di mercato alla conservazione dell’art.18, mentre il superamento di un concorso pubblico dischiude le porte della protezione più assoluta, la Madia non ha neppure provato a spiegarlo o ad argomentarlo. Fanno un concorso pubblico e questo basta per creare un pianeta a parte nel mercato del lavoro italiano. Per mettere al riparo, i fortunati vincitori del concorso, da qualsiasi crisi economica e da ogni possibile recessione. I neoassunti della Pa sono già privilegiati perché vivono di tasse altrui, poiché sono le base imponibili prodotte da chi opera nel mercato competitivo a mantenerli, e perché sono inquadrati in organizzazioni incapaci di misurarne la effettiva produttività, quindi molto generose nel valutarne le prestazioni. Ma questo alla Madia non basta, li vuole anche proteggere da ogni forma di licenziabilità e tenerli per sempre sotto l’ala protettiva dell’art.18 del secolo che fu.

Il senatore Pietro Ichino sta provando a spiegare che ben tredici anni fa, nel Testo Unico sul pubblico impiego (d.lgs. n. 165/2001, c.d. riforma Bassanini)  si è stabilito che, escluse assunzioni e promozioni, per ogni altro aspetto – salve eccezioni rispondenti a esigenze particolari – il rapporto di pubblico impiego deve essere assoggettato alle stesse regole del rapporto di lavoro privato.

E’ comunque incredibile che nell’Italia del 2015 si debba ancora discutere di maggiori diritti solo per i lavoratori della Pa. Lo spread vero e che ci condanna al default è solo questo.

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