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Rischi e convenienze del disgelo tra Usa e Cuba

La mediazione di Papa Francesco ha dato un contributo importante al disgelo tra Stati Uniti e Cuba, e questo dimostra come l’autorevolezza gioca ancora un ruolo fondamentale in un mondo così povero di autentiche leadership. Ma non si può pensare che questo sia stato l’unico elemento, e forse neppure il più importante, che abbia condotto a una decisione storica. Drammi che hanno provocato decenni di dolore, terrore e morte non si risolvono magicamente nel giro di pochi giorni, e le dinamiche in gioco sono certamente assai complesse.

CUBA

Sul fronte cubano, la drammatica situazione economica, aggravata dall’indebolimento dell’alleato venezuelano, ha portato le tensioni sociali a livelli altissimi. I contatti del popolo cubano con il mondo esterno all’isola, favoriti dai moderni sistemi di comunicazione, hanno infranto l’impermeabilità culturale che il regime aveva creato. E Raul Castro non è certamente Fidel. Questi elementi hanno reso nei fatti indispensabile l’uscita di Cuba da un isolamento ormai antistorico rispetto al contesto occidentale, nel quale peraltro essa si trova geograficamente e antropologicamente collocata.

STATI UNITI

Più articolata si presenta l’analisi sul fronte USA, dove una combinazione di diversi elementi ha certamente influito su Obama.

Una mossa obbligata o disperata?

La mossa di Obama non è certamente banale. La notizia del disgelo è di quelle che hanno grande effetto a livello mondiale e lo dimostra la reazione dei mezzi di informazione. Del resto anche la coreografia scelta, l’annuncio contemporaneo da parte dei due presidenti, evidenzia la volontà di dare grandissima risonanza alla decisione. Obama doveva fare qualcosa di importante per uscire dall’angolo nel quale era stato relegato dopo le disastrose elezioni di medio termine. E la doppia maggioranza repubblicana nel Congresso e nel Senato si sarebbe messa di traverso rispetto a ipotesi che avessero comportato impegni finanziari o militari. Gli serviva un colpo di teatro, una decisione solo presidenziale e di grande effetto. E’ assolutamente verosimile che avesse nel cassetto questa carta da giocare, già negoziata con la controparte. Una mossa obbligata e, proprio per questo, estrema. Quindi, in un certo senso, disperata e perciò non indenne da rischi.

Il fronte interno

Sul fronte interno la decisione di Obama è insieme spregiudicata e azzardata. Un messaggio fin troppo esplicito agli ispanici (“somos todos Americanos”) anche in prospettiva delle prossime presidenziali, dove i repubblicani potrebbero schierare candidati vicini a quel mondo. Al tempo stesso, l’immagine del crollo di un muro evoca i fallimenti della politica sovietica e rappresenta un segnale rassicurante per l’americano medio, oggi preoccupato dalla ripresa di quota internazionale della Russia. L’azzardo consiste nel forte rischio che, invece, la mossa si trasformi, nel medio-lungo periodo, in un assist ai repubblicani, soprattutto se, come purtroppo non si può escludere, la ripresa dei rapporti diplomatici tra i due Paesi provocasse tensioni o difficoltà.

Il fronte internazionale

L’inconsistenza della politica estera di Obama ha provocato un progressivo indebolimento dell’immagine internazionale degli Stati Uniti. L’Unione Europea, a sua volta ancora impreparata ad esprimere una vera politica estera comune, si trova in chiara difficoltà, essendole venuta a mancare l’ombra ingombrante ma confortevole nella quale si era per decenni nascosta. Gli stessi alleati storici di Israele sembrano ormai abbandonati al proprio destino. La mossa di Obama cerca di recuperare al colosso nordamericano quel ruolo di ago della bilancia degli equilibri del mondo che era progressivamente venuto meno.

Putin

In un rapporto di potere la forza di un interlocutore spesso non è misurabile in valore assoluto ma è relativa al valore dell’avversario. Nel confronto tra USA e Russia degli ultimi anni in realtà si sono confrontate non più due grandi forze ma due sostanziali debolezze. Obama è stato più debole di Putin, consentendogli di emergere al punto di poter porre ricatti all’intero occidente. Per contrastare Putin, Obama è oggi incapace di andare oltre le sanzioni e il governo al ribasso del prezzo del greggio, ma questo non basta a recuperare la perduta autorevolezza di fronte alla comunità internazionale né ad operare interventi realmente efficaci. Putin ha spinto la sfida con Obama fino alla minaccia di mandare i propri bombardieri a pattugliare i cieli del golfo del Messico. Con il disgelo nei confronti di Cuba, Obama risponde a muso duro a Putin sfilandogli di mano l’alleato storico proprio in quel quadrante strategico. E’ certamente una mossa intelligente, bisognerà vedere se Putin non attuerà contromosse, e quali.

I fronti aperti

Neppure gli USA possono più permettersi di tenere aperti troppi fronti. Quello del Pacifico è sempre più impegnativo, politicamente e militarmente, mentre quello Atlantico, sul quale Obama sperava di poter progressivamente alleggerire il proprio impegno, è tornato invece a costituire una forte preoccupazione, per le concomitanti minacce del conflitto tra Russia e Ucraina e dell’avanzata del Califfato in Iraq, Siria e anche nell’Africa sud sahariana; per non dire del permanere di conflitti storici come quello israelo-palestinese e di situazioni drammaticamente irrisolte, a partire dalla Libia. La chiusura, o almeno un significativo alleggerimento dell’impegno sul fronte cubano aiuta certamente Obama in un momento particolarmente critico.

UN COMPITO PER L’EUROPA

Il disgelo tra USA e Cuba è certamente un fatto epocale e altamente positivo. Esso poggia fondamentalmente su motivazioni di convenienza reciproca degli interlocutori, e in questo senso dovrà essere accompagnato da un percorso di forte consolidamento e di riavvicinamento culturale tra mondi che si sono combattuti aspramente per decenni. Al di là di facili trionfalismi populistico-pacifisti, non ci si può illudere che le ferite di un lungo passato siano sanate da un “somos todos Americanos”. La speranza di tutti è che non vi siano ripensamenti e che il percorso si consolidi. Un percorso non solo americano, ma destinato ad avere ripercussioni anche sull’Europa, che potrebbe trarne beneficio per l’accelerazione del processo verso una autentica politica estera comune. Una Europa che è certamente chiamata, per ragioni storiche e culturali a sua volta dare un contributo positivo al consolidamento dei rapporti tra Cuba e il resto del mondo occidentale. Contributo che dovrebbe partire da una rapida apertura diplomatica dell’Unione Europea a Cuba e da una immediata visita dell’Alto Rappresentante Federica Mogherini.

Paolo Alli (Ncd) è componente della commissione Affari esteri e vicepresidente della delegazione parlamentare presso l’Assemblea parlamentare della Nato


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