Bien penser pur bien agir, diceva Pascal. A leggere la domanda inziale che fa da cappello ai 46 quesiti dei Lineamenta in vista del Sinodo ordinario sulla famiglia dell’anno prossimo, la frase del grande filosofo calza a pennello. Perché se c’è una cosa che manca nella Relatio Synodi, il documento finale dell’assise straordinaria che si è svolta quest’anno, è proprio l’esatta percezione di quale sia la realtà, e quindi la vera posta in gioco, quando si parla della famiglia. Va bene la denuncia dei vari -ismi (individualismo-soggettivismo-edonismo); come anche di un’affettività senza limiti e, soprattutto, della crisi di fede che spesso è il vero problema. Ma questo non basta. E’ ora che nella chiesa si dica forte e chiaro che se la famiglia è in crisi è anche perchè, e con un peso uguale alla crisi della fede, mai come oggi tale istituto – per come lo definisce la Costituzione, ovvero società naturale fondata sul matrimonio (sottinteso: tra un maschio e una femmina) – è sotto attacco. Come non vedere che esiste un movimento di pensiero e di pressione, la cui falange è l’ideologia del gender (citata nella Relatio post disceptationem e poi curiosamente scomparsa nel testo finale), che mira a scardinare la famiglia promuovendo stili e costumi di vita all’insegna dell’omosessualismo e sue declinazioni, e che non a caso le lobby che lo propugnano stanno facendo penetrare negli ordinamenti legislativi e, ancora peggio, nelle scuole per indottrinare fin da piccoli i nostri figli? Spiace dirlo ma fino ad ora nella chiesa poco o nulla si è sentito sull’argomento. Eppure è sotto gli occhi di tutti. Ultimo in ordine di tempo – e manco a farlo apposta passato sotto traccia sulla stampa che conta – il disegno di legge depositato il 24 novembre scorso e firmato da 40 parlamentari, intitolato “Introduzione dell’educazione di genere e della prospettiva di genere nelle attività e nei materiali didattici delle scuole del sistema nazionale di istruzione e nelle università”. Di che si tratta? A prima vista, scrive Tommaso Scandroglio su La Nuova Bussola Quotidiana, “il disegno di legge sembrerebbe che riguardi unicamente la valorizzazione del ruolo della donna nella società e la tutela del principio di uguaglianza al di là delle differenze di sesso”. In effetti questa è l’impressione che si ricava leggendo le finalità dell’iniziativa: “il superamento degli stereotipi di genere educando le nuove generazioni, lungo tutte le fasi del loro apprendimento scolastico, al rispetto della differenza di genere”. L’obiettivo è chiaro: educare i giovani al rispetto delle differenze di genere; i mezzi anche, nel momento in cui si parla di “interventi sui libri di testo” e di “provvedimenti necessari a integrare l’offerta formativa dei curricoli scolastici di ogni ordine e grado con l’insegnamento a carattere interdisciplinare dell’educazione di genere. I piani dell’offerta formativa delle scuole di ogni ordine e grado adottano misure educative volte alla promozione di cambiamenti nei modelli comportamentali al fine di eliminare stereotipi, pregiudizi, costumi, tradizioni e altre pratiche socio-culturali fondati sulla differenziazione delle persone in base al sesso di appartenenza e sopprimere gli ostacoli che limitano di fatto la complementarità tra i sessi nella società” (art. 1). Qual è allora il problema? Nessuno, se non fosse che le cose stanno diversamente da come appaiono. Si legge infatti nella Relazione introduttiva all’articolato di legge: in merito agli studenti occorre «incoraggiarli a intraprendere percorsi di studi e professionali superando visioni tradizionali che tendano a individuarli come tipicamente “maschili” o “femminili”». Ma questo non significa forse che le differenze di genere, proprie dei maschi e delle femmine, vengano eliminate, con ciò contraddicendo l’assunto di partenza che vuole invece la tutela e la promozione delle differenze? “Si sbianchettano le peculiarità dell’uomo e della donna – scrive Scandrolglio – perché ritenute errori grossolani compiuti da una certa cultura maschilista che a oggi non ha ancora imparato il nuovo alfabeto e la nuova sintassi del sessualmente corretto. Operazione paradossale per un disegno di legge che mira a tutelare le donne, perché, in buona sostanza, è come se comandasse: «Che le donne siano meno donne!».
Ma c’è di più. Perché al di là delle buone intenzioni il vero obiettivo del disegno di legge è di tutt’altra natura, e punta dritto – come dicevamo all’inizio – all’indottrinamento delle nuove generazioni secondo la visione del gender. Gli indizi in tal senso non mancano. Innanzitutto, il fatto stesso che nel testo si usi spesso il termine “genere”, anziché “sesso”, la dice lunga. Secondo, sempre la succitata Relazione dice a chiare note che l’obiettivo è arrivare alla: “decostruzione critica delle forme irrigidite e stereotipate attraverso cui le identità di genere sono culturalmente e socialmente plasmate, stimolando al contempo l’auto-apprendimento della e nella complessità”. Commenta Scandroglio: “Proviamo a tradurre dal cripto-politichese: occorre superare lo schema uomo-donna perché vecchi stereotipi culturali e sociali (le sovrastrutture di marxiana memoria non muoiono mai nella testa di molti politici di sinistra) e stimolare nell’alunno il riconoscimento dell’identità di genere attraverso quei modelli comportamentali già presenti nella società (questa società che prima si bacchetta e poi, se torna comodo, si prende ad esempio). Modelli che non possono essere semplicemente quelli del binomio “maschio-femmina”, ma sono più complessi, più variegati, più sfumati così come sono più complessi, variegati e sfumati gli orientamenti sessuali delle persone. Abbattuto il decrepito, perché vetusto, argine del sesso biologico si spalancano le porte alle infinite e nuove variabili del sesso ideologico: gay, bisex, transessuali, transgender, asessuali, etc.” Chiaro no? Un conto è promuovere, tutelare e far apprezzare il proprium della donna, e allo stesso tempo combattere ogni atteggiamento discriminatorio. Ma, si legge in un comunicato di La Manif pour Tous Italia, “è da escludere che questo possa avvenire tramite una ristrutturazione ideologica dei processi educativi, magari improntata a quelle teorie di genere che bollano come opprimenti stereotipi culturali caratteristiche invece naturalmente iscritte nell’identità sessuale femminile e maschile, ingenerando solo inutile confusione in ragazze e ragazzi“. Motivo per cui, “appare in tal senso allarmante che il ddl individui i propri nemici non solo in stereotipi e pregiudizi ma anche in ‘costumi’ e ‘tradizioni’, tra cui non meraviglierebbe di vedere oggi ricompresi matrimonio e adozione riservati a coppie di persone di sesso diverso“. La Manif pour Tous chiude il suo comunicato dicendo che “vigilerà ed agirà affinché un simile affronto alla libertà educativa delle famiglie, già gravemente lesa da progetti scolastici attualmente in corso nelle scuole, non abbia mai ad affermarsi“. Staremo a vedere se anche la Chiesa farà altrettanto.
Verso il Sinodo sulla famiglia. La vera posta in gioco
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