1945-2015. Accadde ben 70 anni fa, il 25 aprile: fu vera Liberazione dal fascismo? Se vigesse le droit d’inventaire, il diritto d’inventario, la risposta sarebbe circostanziata e dettagliata. Ma nonostante ciò, una risposta bisogna tentare di darla: lavarsene le mani e non farlo sarebbe peggio e deleterio.
E la risposta è che fu vera ma parziale, il fascismo fu sconfitto militarmente ma non debellato culturalmente: una cura dei sintomi della malattia, non l’asportazione chirurgica della causa prima di una violenza inaudita contro chi si oppose al Regime e disumana nella pretesa di un assurdo primato della razza.
Ci furono passaggi decisivi – a Liberazione compiuta – nella costruzione della Repubblica che avrebbero richiesto ben altre soluzioni dalla scriteriata amnistia del 22 giugno 1946, l’atto di clemenza, con l’aggiunta di indulto e grazia, che, in nome della pacificazione nazionale, diede la libertà a migliaia di fascisti (gerarchi della Rsi; Ras delle squadracce; dirigenti dell’Ovra; segretari del Pnf; giudici e magistrati del Tribunale Speciale; estensori del Manifesto della Razza; burocrati, intellettuali, giornalisti, collaborazionisti del Regime) e i peggiori criminali.
Quanti furono i fascisti che beneficiarono dell’atto di clemenza, amnistia più indulto e grazia, firmato dal Guardasigilli Palmiro Togliatti e controfirmato dal Premier Alcide Gasperi? Oltre 5 mila, per l’esattezza 5.328 di cui 2.231 in modo totale e 3.363 in parte. E così il bottino del Ventennio se lo divisero i due maggiori partiti, Pci e Dc, e la maggior parte dei burocrati che avevano servito il Regime restarono nei posti di comando della Repubblica.
La grande amarezza di prender atto della rivoluzione mancata venne, nei più onesti tra coloro che combatterono de visu il fascismo, subito: il fronte della epurazione perse la sua battaglia sopraffatto dal fronte dell’amnistia e più tardi quando nell’apparato dello Stato, nell’esercito, nella magistratura, nelle forze dell’ordine, nel giornalismo e tra gli intellettuali ricomparvero gli aguzzini di un tempo: si erano tolti la camicia nera e indossavano quella rossa o bianca.
Poteva la nuova Repubblica, sorta dalla Liberazione, essere totalmente laica ma così non fu per effetto del deleterio art.7 della Costituzione che elevava a norma costituzionale i Patti Lateranensi del 1929 stipulati dalla Chiesa e dal Regime fascista, con i quali la prima dava legittimità al Regime fascista e il secondo riconosceva la religione cattolica come religione di Stato: autori solitari della nefasta soluzione furono di nuovo Togliatti e De Gasperi e il fronte dell’epurazione perse la battaglia per la Repubblica laica: il risultato fu lo Stato teocratico e come ammonì Antonio Gramsci per lo Stato fu la capitolazione ai piedi della Chiesa.
Accadde 70 anni fa e oggi della Liberazione di allora non resta quasi nulla: essa non fu vera Liberazione dal fascismo, non fu la nascita della Repubblica antifascista, anti clerico-fascista e perciò laica, libertaria e per l’emancipazione della povera gente: l’egemonia culturale che mirabilmente aveva teorizzato Gramsci fu stracciata e sopraffatta dal catto-comunismo che oggi nell’epoca di Matteo Renzi è degradato anche nel clerico-fascismo di ritorno.
Da dove ripartire? Da dove si è rimasti, ossia dall’eretico Gramsci e da quell’eroico fronte che nell’opporsi, senza se e senza ma, al fascismo, ad ogni tipo di fascismo, che ha una radice che può, in circostanze favorevoli, venire alla luce, diventare pericolosa: questa radice non è solo violenza, è anche violenza ma finalizzata alla conservazione di certi poteri e di certi privilegi, è la cieca affermazione, autoaffermazione, del potere, di ogni potere, fine a stesso, che mette ai margini e annienta gli altri esseri umani.