La Svizzera ha deciso di mollare il cambio fisso con l’euro: la soglia minima di 1,20 nei confronti del franco, che pure aveva protetto l’export elvetico da un’eccessiva sopravvalutazione valutaria ai tempi della crisi dei debiti sovrani europei, era diventata ormai eccessivamente penalizzante per gli investitori in franchi svizzeri.
I MOTIVI DELLA DECISIONE
Il “peg” con la moneta unica europea è andato bene finché si doveva evitare un’eccessiva rivalutazione del franco a fronte di un continuo afflusso di capitali in fuga dall’eurozona. Ma non ora, visto che sono ormai diversi mesi che l’euro si svaluta rispetto al dollaro, trascinandosi dietro il franco svizzero: è insostenibile per il sistema finanziario svizzero la penalizzazione del valore dei depositi e degli investimenti denominati in quest’ultima valuta.
LE PRECAUZIONI
La Banca nazionale svizzera ha agito anche in via precauzionale, in considerazione dell’ulteriore flessione dell’euro sul dollaro che verrebbe determinata dalla maggiore liquidità derivante dal lancio tante volte annunciato del Qe da parte della Bce, unita al permanere di tassi di interesse estremanente contenuti.
I NUMERI
Nel contempo, è stata penalizzata sia la detenzione di liquidità, abbassando di 0,5 punti percentuali sia il tasso già negativo (-0,25%) sugli averi in conti di rilevante importo, arrivato così al -0,75%, sia la soglia massima del Libor a tre mesi che è stata portata a -1,25%. Se la rivalutazione del franco svizzero è volta a far recuperare valore agli investimenti già effettuati, dall’altra si cerca di scoraggiare un ulteriore afflusso di capitali da detenere liquidi.
GLI EFFETTI
I riflessi della rivalutazione del franco svizzero saranno rimarchevoli per l’economia reale e gli equilibri della bilancia commerciale: se l’euro è sceso a 0,84 ed il dollaro a 0,71 per un franco, lo yen è arrivato a quota 138, il massimo dal 1980. Le conseguenze sulla Borsa sono state immediate, con un crollo dell’indice arrivato fino all’11%.
LA NUOVA STRATEGIA
Si cambia strategia: mentre tre anni fa, a fronte di una fuga di capitali europei verso la Svizzera, si dovette proteggere l’economia reale da una eccessiva rivalutazione che ne avrebbe penalizzato l’export, adesso si proteggono gli investitori in franchi da un cambio fisso con l’euro che porta ad una penalizzazione del franco nei confronti del dollaro. Se in passato Berna dovette fronteggiare un Euro che sbandava di fronte alle tensioni sui debiti sovrani, ora deve bilanciare gli effetti negativi determinati dal ritardo con cui la Bce si accinge a porre in essere le necessarie politiche monetarie espansive volte a sostenere l’economia reale dell’Eurozona.
LA QUESTIONE DEI CAMBI
Le vicende di questi anni stanno dimostrando come in Svizzera, al pari di ogni altro Paese, ci siano livelli di cambio incompatibili con le strutture economiche di un Paese ed altri inconciliabili con le esigenze del sistema finanziario. Il sistema economico svizzero dovrebbe recuperare sul versante della competitività uno stress valutario rilevante: il rapporto tra euro e franco svizzero si è dimezzato rispetto al livello di 1,6 che fu determinato nel 1999, al momento del lancio della moneta unica europea, ed al massimo di 1,67 toccato nel 2007. E’ quasi impossibile, però, mantenere una bilancia commerciale equilibrata nei confronti di Paesi circostanti che svalutano la propria moneta del 100% nel giro di neppure sette anni.
LE RELAZIONI TRA MOVIMENTI E CAMBI
Sono i movimenti dei capitali, con la loro libera circolazione, a determinare i tassi di cambio, mentre le Banche centrali ed i governi devono cercare di arginarne le conseguenze negative sulle economie reali e sugli investitori.
LE CONSEGUENZE DELLA MOSSA DI BERNA
Se oggi riflettiamo sulle conseguenze derivanti dalla fluttuazione dei rapporti tra euro e franco svizzero, ancor più dovremmo considerare le relazioni complessive tra euro e dollaro, per non parlare dei movimenti di capitale all’interno dell’Eurozona: l’esistenza di una moneta unica non riesce né a colmare le conseguenze dei movimenti di capitale tra uno Stato e l’altro, né ad evitare che i capitali si muovano con rapidità eccezionale, segmentando il mercato. Fuggendo dal rischio, o ricercando migliori remunerazioni, ad una velocità incomparabilmente superiore a quella con cui le economia reali riescono a compensare movimenti così repentini e tanto rilevanti: in Svizzera, la retorica delle riforme strutturali risuonerà ancora.