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Cercasi politica migratoria europea

La tematica dei flussi migratori è particolarmente complessa. Per questo è importante che venga interpretata e gestita in senso più ampio, in senso europeo. Per capire quali sono le reazioni e le azioni messe in campo, o anche solo potenziali, è necessario contestualizzare il fenomeno. Le origini sono molto differenziate; le persone che attraversano il Mar Mediterraneo provengono da aree diverse come Medio Oriente, Africa subsahariana e i Paesi orientali tra cui Pakistan, Afghanistan e Bangladesh. La maggior parte dei migranti del Mediterraneo sono richiedenti asilo. Non si tratta quindi di gestire la mobilità di persone, ma si inizia a parlare anche di protezione internazionale, con la necessità di considerare a livello europeo comportamenti e strumenti diversi. La dimensione del fenomeno migratorio è particolarmente rilevante. Inoltre, l’instabilità di molte regioni (come Libia e Siria) non permette di capire quanto ancora esso possa espandersi. Ad esempio, cosa accadrebbe se la Turchia dovesse decidere di smettere di proteggere i rifugiati siriani?

L’incertezza porta a chiedersi se l’Europa possieda i giusti strumenti e le giuste politiche per far fronte a queste situazioni di emergenza. Se guardiamo indietro, ciò che è stato fatto dal 1999, ovvero da quando l’Europa ha acquisito competenza in ambito migratorio e delle richieste d’asilo, risulta essere inadeguato. Purtroppo, la contrazione politica che è in corso non aiuta a migliorare la situazione. È abbastanza chiaro che le agende politiche di molti Stati membri sono gestite e influenzate da partiti euroscettici, contrari alla gestione comune dei flussi migratori e anti-euro. La loro quotidiana presenza sulle prime pagine dei nostri quotidiani ne rafforza l’influenza e li rende parte attiva del gioco politico. Dal mio punto di vista, questo conduce l’agenda politica verso una direzione sbagliata.

In tale situazione l’Europa risulta quindi essere capace di reagire ma non di agire. Si parla così delle attività intraprese dagli Stati membri, come l’operazione italiana Mare Nostrum, oppure delle conclusioni adottate dal Consiglio lo scorso ottobre in cui ci si è concentrati solo sul controllo delle frontiere.  Un altro esempio tipico di reazione in assenza di azione è rappresentato dall’attuale operazione Triton. In linea generale si può affermare che le reazioni a livello di Stati membri e a livello europeo sono estremamente limitate. Si focalizzano sul controllo delle frontiere e la prima accoglienza, ma non vanno oltre. Mancano una visione prospettica e  strumenti innovativi.

Tra questi strumenti rientra ad esempio la creazione visti umanitari e di fori competenti a livello europeo per la gestione delle richieste di protezione dei migranti; il nuovo commissario europeo per le migrazioni e gli affari interni ha proposto di utilizzare le delegazioni europee all’estero per le richieste d’asilo. Tutti ottimi spunti, ma nessuna azione concreta è ancora stata intrapresa.

Un’altra innovazione possibile è rappresentata dall’interpretazione estensiva che si può dare al Regolamento di Dublino, strumento normativo che individua le caratteristiche per la gestione delle richieste di asilo e il riconoscimento dello status di rifugiato. In particolare, il regolamento non impedisce a singoli Stati membri o a una coalizione di applicare in modo flessibile le indicazioni fornite e accettare l’accoglienza nel proprio territorio di nuclei familiari allargati. In molti casi si ignora anche il fatto che il regolamento di Dublino contenga una clausola umanitaria con la quale gli Stati membri potrebbero  aiutarsi reciprocamente ed alleviare pressioni migratorie in corso in determinati paesi. In tal senso, sarebbe anche interessante immaginare il regolamento di Dublino come un vero e proprio strumento di integrazione.

L’Unione europea non è capace quindi di agire in modo strutturato. Molti Stati membri non hanno una propria politica migratoria e questo fa ben capire come mai non ne esista una neanche a livello europeo. Ma il fenomeno migratorio è qualcosa che fa parte del nostro presente e farà parte del nostro futuro. È perciò necessario mettere in campo idee per delineare una politica migratoria europea. Nello specifico, sono quattro le strade che è possibile percorrere.

In primo luogo è necessario fare una mappatura del fenomeno, capire le sue caratteristiche e ideare un piano d’azione che non si limiti ai prossimi cinque anni ma preveda scenari da qui a 10, 15 o anche 20 anni. Il fenomeno migratorio sara influenzato da molti elementi che della nostra quotidianità, dall’avvento dell’era digitale, al cambiamento climatico, all’urbanizzazione, alla classe media. Il piano d’azione dovrà tenere in considerazione tutto ciò.

In secondo luogo è importante che l’Europa definisca i suoi obiettivi, come ad esempio la gestione della mobilità e la protezione degli individui. La mobilità deve essere intesa sia verso l’Europa sia all’interno di essa. È paradossale ammettere dei migranti in uno Stato membro e limitare loro il diritto di spostarsi liberamente nel territorio della Ue. La protezione deve essere intesa nel suo duplice significato di protezione dei cittadini Ue e protezione di rifugiati e richiedenti asilo.

In terzo luogo è strategico collegare le diverse politiche che hanno un’influenza sul fenomeno migratorio. È stato incoraggiante leggere nelle linee guida strategiche dell’Ue adottate lo scorso giugno la volontà di stabilire un link tra le politiche dell’immigrazione legale, illegale e le politiche legate alla protezione internazionale. Tuttavia, le nuove linee guida dell’UE non fanno alcuno riferimento all questione dell’integrazione dei migranti. L’integrazione rappresenta  una delle sfide più grandi che l’Unione e gli Stati membri  sono chiamati ad affrontare.

Infine, dirigersi verso una politica migratoria richiederà sicuramente un ragionamento in termini istituzionali. Al classico triangolo della Commissione europea, del Parlamento Europeo e del Consiglio, si aggiunge infatti il lavoro della Corte di Giustizia Ue e del Servizio europeo di azione esterna che, a mio avviso, giocherà un ruolo sempre più significativo nel settore. Si tratta ormai di concepire tali politiche all’interno di un vero e proprio ‘pentagono’ istituzionale europeo.

C’è molto da fare e le parole non bastano più. Per poter agire in modo concreto è indispensabile che gli attori coinvolti e gli Stati membri abbiano fiducia reciproca. In caso contrario continueremo solo a reagire, senza avere una posizione comune orientata al futuro e delle risposte comuni adeguate a gestire la mobilità umana verso l’Europa, in Europa e nel mondo intero.

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