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Charlie Hebdo, ecco come la Francia processa l’intelligence francese

Una città come Parigi tenuta sotto assedio per tre giorni da jihadisti noti alla polizia francese. Una caccia all’uomo durata 48 ore con un dispiegamento di oltre 80.000 uomini delle forze speciali. Una caccia che non può neppure dirsi del tutto conclusa considerando che Hayat Boumeddiene, la pericolosa complice di Amedy Coulibaly è ancora a piede libero. La ferita del triplice attacco terroristico alla sede della rivista satirica Charlie Hebdo, a Montrouge e al market kosher di Porte de Vincennes brucia ancora tanto sulla pelle della Francia e dell’Europa intera, ma agli occhi dell’opinione pubblica i conti non tornano. L’intelligence francese avrebbe mostrato debolezze e mancanze nella gestione dell’intera vicenda, secondo gli addetti ai lavori e come ha spiegato l’analista Andrea Margelletti in una conversazione con Formiche.net.

LE «MANCANZE» DELL’INTELLIGENCE FRANCESE

A dare conferma di quanto sospettato da molti analisti – e da Julian Assange che ha definito l’intelligence francese «incompetente» – è stato il primo ministro Manuel Valls che ha ammesso le «mancanze» degli 007 francesi. I fratelli Kouachi e Amedy Coulibaly, infatti, si conoscevano da molto tempo e si erano macchiati già in precedenza di altri crimini. Uno di loro si pensa che addirittura sia stato addestrato da al Qaeda nello Yemen, rappresentando di fatto lo spauracchio maggiore delle autorità occidentali che temono proprio il fenomeno per cui islamici cresciuti “in casa” propria vadano a prepararsi all’estero per poi tornare e compiere attacchi terroristici nel paese in cui sono cresciuti.

Ma l’esame delle forze di sicurezza francesi sarà ancora più severo se si considera che l’obiettivo principale degli attentati che hanno colpito Parigi era la rivista Charlie Hebdo, da molto tempo presente nella “lista nera” dei fondamentalisti islamici.

IL LEGAME YEMENITA  

Pare infatti che Chérif Kouachi, 32 anni, e Saïd Kouachi, 34 abbiano colpito il giornale satirico diretto da Stéphane Charbonnier – ucciso assieme ad altre 11 persone della redazione – per vendicarsi delle vignette pubblicate dal settimanale perché ritenute altamente offensive nei confronti del profeta Maometto. Un testimone ha detto di aver sentito che uno dei due attentatori gridare, subito dopo la strage: «Abbiamo ucciso Charlie Hebdo! Abbiamo vendicato il Profeta!».

Fonti della sicurezza hanno riferito che i due fratelli Kouachi di origine di origine algerina erano sotto sorveglianza della polizia ed erano stati inseriti nella “no-fly list” dell’Europa e degli Stati Uniti. Chérif, che si faceva chiamare anche con il nome di Abu Issen, faceva parte del “Buttes Chaumont network” che aiutava potenziali jihadisti ad andare a combattere per al Qaeda in Iraq, dopo l’invasione degli USA nel 2003. Funzionari americani e yemeniti hanno anche dichiarato – come anticipato – che suo fratello Saïd aveva legami con al Qaeda nello Yemen. I servizi segreti, inoltre, sapevano perfettamente che Chérif Kouachi aveva legami con l’uomo che in un supermercato kosher ha tenuto in ostaggio per più di tre ore cinque persone e ne ha ammazzate quattro: il 32enne Amedy Coulibaly, un criminale convertitosi all’Islam radicale mentre era in prigione.

Poco dopo gli assalti, il canale francese BFM TV ha riferito di aver parlato con due degli attentatori prima che morissero nei raid effettuati dalle teste di cuoio, rispettivamente a Demmartin en Goelle e a Porte de Vincennes. Chérif Kouachi avrebbe detto ai microfoni dell’emittente che lui e suo fratello sono stati finanziati e spediti dall’al Qaeda yemenita, mentre Coulibaly ha affermato di essere un membro dell’organizzazione dello Stato islamico e ha confessato di aver coordinato le sue azioni – compresa l’uccisione di una poliziotta in un sobborgo di Parigi – con i fratelli Kouachi.

Inoltre, un membro di al Qaeda nella Penisola Arabica (AQAP) ha rivendicato l’attacco terroristico di Parigi, mentre i funzionari dell’intelligence USA dicono di aver trovato alcuna prova a sostegno di questa tesi.

LA MAREA DI DATI CHE FA ANNASPARE L’INTELLIGENCE

Per gli esperti di sicurezza le difficoltà nel contrastare gli attacchi terroristici sono da rintracciare nel numero infinito di dati e di nomi dei potenziali terroristi in cui i servizi di intelligence stanno letteralmente annegando. «È difficile identificare e schedare le persone giuste. Siamo subissati da così tanti dati che non è detto che riusciamo a rintracciare le giuste informazioni e a preparare, di conseguenza, una strategia di azione adeguata» ha dichiarato all’Associated Press Benoit Gomis, esperto di antiterrorismo per il gruppo di ricerca Chatham House.

Gomis ha aggiunto che le indagini potrebbero essere ostacolate da questioni di carattere giuridico, soprattutto in considerazione del fatto che il più vecchio dei fratelli Kouachi non aveva precedenti penali, mentre l’ultima accusa che riguarda il minore dei due, che lo avrebbe visto coinvolto in un tentativo fallito di far fuggire dal carcere un pregiudicato jihadista, era stata respinta. «Lo stato di diritto permette questo» ha detto l’esperto antiterrorismo. «Non si può arrestare questa gente solo per le loro visioni estreme. Molti diranno che avremmo dovuto sbatterli in galera ma, ripeto, non possiamo andare contro lo stato di diritto».

Alain Bauer, un esperto di crimine e consulente di diversi governi francesi, ha detto che i recenti attacchi terroristici hanno evidenziato sia la qualità dei dati rintracciati dall’intelligence che le carenze nella loro analisi. E ha individuato tre fasi di evoluzione dell’operato dei servizi segreti: «La prima, eccezionale, in cui l’intelligence ha azzeccato e raccolto tutti i dati del caso. La seconda, carente, in cui l’analisi di quei dati ha omesso molti punti che avrebbero potuto prevenire gli attacchi. La terza, ancora migliore della prima, con la risposta della polizia, l’assalto, la liberazione degli ostaggi e la neutralizzazione degli uomini armati». «Affrontare le carenze della seconda fase sarà fondamentale per prevenire futuri attacchi» ha dichiarato Bauer alla radio France Info.

I funzionari francesi, sottolineando la portata della minaccia terroristica che ha coinvolto Parigi, hanno affermato che molti tentativi di attacco erano stati sventati nelle ultime settimane. Mentre altre fonti ufficiali europee stimano che circa 3.000 persone (ma si pensa che il numero sia addirittura più alto) hanno lasciato il continente per unirsi ai movimenti jihadisti in Medio Oriente e nel Nord Africa. Sabato scorso, il primo ministro francese Valls ha dichiarato che «tra i 1.200 e 1.400» cittadini francesi sono partiti alla volta della Siria e dell’Iraq per entrare a far parte di gruppi jihadisti. Molti sono tornati a casa, magari con una preparazione simile a quella messa in pratica nell’attentato di Charlie Hebdo.

Dal canto suo, l’intelligence rifiuta di rivelare l’identità dei ricercati inseriti nelle liste terroristiche, ma si pensa che ne facciano parte migliaia di persone in tutta Europa. Sorvegliarli tutti è un compito difficilissimo e rappresenta una sfida estenuante per i servizi di sicurezza: «Ci vogliono 20 ufficiali per seguire quotidianamente un solo sospettato», ha spiegato l’esperto di antiterrorismo Pierre Conesa, docente all’università Sciences-Po di Parigi. «Nessun servizio di intelligence al mondo ha la capacità di farlo», ha dichiarato all’emittente televisiva FRANCE 24.

Sia Bauer e Conesa sono concordi nel fatto che l’apparato di sicurezza francese abbai sbagliato a non sfruttare le conoscenze degli accademici e dei leader della comunità islamica: «I leader musulmani sono mobilitati contro il radicalismo, essi devono essere parte integrante della nostra strategia di lotta al terrorismo», ha spiegato Conesa. «Rappresentano un sistema di allerta precoce per le autorità, conoscono le famiglie, le dinamiche della comunità».

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