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Charlie Hebdo, Dieudonné e il diritto di satira

Il tribunale di Parigi ha aperto un’inchiesta nei confronti del comico Dieudonné (nella foto) per “apologia di terrorismo”. Il discusso showman, non nuovo all’onore delle cronache per le sue dichiarazioni antisemite, dopo aver partecipato domenica scorsa alla marcia nella capitale francese, ha scritto un post su Facebook in cui dichiarava di sentirsi “Charlie Coulibaly” (unendo l’ormai celebre adagio “Je suis Charlie” al nome del terrorista che ha ucciso e sequestrato i clienti del market kosher).

Il ministro dell’Interno Bernard Cazeneuve ha denunciato le espressioni “abiette” dell’uomo di spettacolo (che riscuote molto successo tra i nostri cugini d’oltralpe). Il post pubblicato da Dieudonné è stato poi cancellato, ma troppo tardi: era già finito sui social.
In passato, diverse gag teatrali di Dieudonné sono state censurate dalle autorità francesi.
La questione è assai delicata. Spero di non essere equivocato, ma qualcuno potrebbe
obiettare: le vignette su Maometto sì, e quelle (in questo caso verbali) sugli ebrei no?

Allora, cos’è la satira? E il diritto di satira fino a che punto è inviolabile?
Per il filosofo tedesco Hegel, ad esempio, la satira è una peculiare forma d’arte romana,
che è mossa “da una virtuosa indignazione nei confronti del mondo circostante; [suscita]
una piacevolezza sottile e raffinata” (“Estetica”). Ora, a me non pare dubbio che nella battuta postata da Dieudonné, invece, la derisione trasforma “l’allegra comunità del ridere
con” nel branco – spietato e crudele – del “ridere di”. In questo caso, soprattutto degli ebrei.

Mi sia consentito, quindi, di essere preoccupato non tanto per le scurrilità nichiliste del “giullare maledetto” (come è stato definito), quanto per le schiere dei suoi fan in delirio. E non si tratta, per essere chiari, solo di coloro che votano per Marine Le Pen.
La verità è che – se non dal 1967 – almeno dal 1982, anno dell’invasione israeliana del Libano, la realtà dell’Olocausto si è scontrata con difficoltà sempre più grandi nella creazione di una memoria condivisa. I negatori della Shoah hanno rialzato la testa. Gli ebrei della diaspora sono stati dipinti come gli emissari e i complici di uno Stato responsabile del “genocidio dei palestinesi”.

Sono riemersi prepotentemente molti residui ideologici dell’antisemitismo occidentale, disseppelliti soprattutto nelle regioni dell’Europa centrale o riemersi nel linguaggio dell’islamismo a ovest di Allah.
Il diritto di satira sarà pure inviolabile, e vietare le esibizioni di Dieudonné sarà pure sbagliato e controproducente. Ma sarebbe un tragico errore anche non comprendere che il
veleno dell’antisemitismo può scorrere veloce nel sangue di democrazie deboli e malate.



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