Grazie all’autorizzazione del gruppo Class e dell’autore, pubblichiamo il commento di Alberto Pasolini Zanelli uscito sul quotidiano Italia Oggi diretto da Pierluigi Magnaschi
Nel coro di lutto, indignazione, rivolta che si leva da quasi tutto il mondo per la strage di Parigi è forse lecito, una volta tanto, cogliere un paio di dettagli apparentemente marginali: uno inquietante, uno che solleva lo spirito. Il primo è contenuto nelle parole del presidente turco Erdogan che, pur condannando come tutti e con parole severe l’eccidio compiuto dai terroristi in nome dell’Islam, ha trovato opportuno scaricare una parte delle colpe sulla «ondata anti-islamica in alcuni Paesi europei».
Che esiste, ma soprattutto a parole, che non dovrebbero essere messe sullo stesso piano di un gesto terroristico che si distingue dai tanti altri per essere una vera e propria operazione di guerra, sia pure privata. È come se Erdogan, un islamista solitamente moderato, abbia ceduto alla tentazione di dare un colpo al cerchio ed uno alla botte.
L’altro «dettaglio» si segnala invece per la sensibilità e la nobiltà che l’hanno ispirato: il segretario di Stato americano John Kerry ha espresso la propria condanna e il proprio cordoglio in francese. Un gesto raro, paragonabile alle quattro parole tedesche che il presidente John Kennedy pronunciò a Berlino davanti al Muro fresco di costruzione: «Ich bin ein Berliner», sono berlinese.
Il resto è un coro intonato in eguale misura forse sullo sdegno, sulla paura, sullo scoramento.
C’è il riconoscimento immediato che l’eccidio dei redattori di Charlie Hébdo sia qualcosa di diverso e di peggiore di gran parte delle operazioni terroristiche di marca islamica che hanno contrassegnato di sangue gli ultimi decenni di storia (e che, va ricordato, hanno trovato fra dei musulmani la grande maggioranza delle loro vittime). Non è stato, stavolta, un gesto suicida, non è stata neppure la bomba vigliacca scagliata o imboscata all’angolo di una strada. È stata una operazione militare, mirata, organizzata. È stato un plotone di esecuzione che ha «liquidato» nelle persone con nome, cognome e indirizzo e insieme una categoria, quella della stampa satirica, che è parte integrante delle strutture di libertà dell’Occidente.
Le vignette caricaturali su personaggi e simboli religiosi possono essere e spesso sono di gusto discutibile, ma la libertà di stampa non può essere legata a uno stile o limitata dai dei tabù. Può meritare gesti di protesta, anche violenti, grossolani anch’essi, ma non una condanna capitale e una esecuzione.
Il mondo sembra averlo capito. Fra le prime reazioni non si sono, almeno finora, intrufolate le oscillazioni che capitò di ascoltare o leggere nove anni fa allorché un quotidiano danese di provincia pubblicò delle caricature di Maometto e qualche fanatico pensò di vendicarlo uccidendo un prete italiano in Anatolia, come per punire in lui il vizio altrui di scherzare con i santi oltre che con i fanti.
La fermezza e l’ampiezza delle reazioni ha forse a che fare, stavolta, anche con la scelta compiuta dagli assassini: non solo le persone ma il luogo. Parigi è qualcosa di più di una grossa capitale europea: è in se stessa, nella sua storia, nel bene e nel male, un monumento alla libertà dello spirito. È il luogo dipinto da Victor Hugo in una pagina immortale dei Miserabili nel monello Gavroche, che subito prima di essere accoppato sulle barricate parigine, cantava «Je suis tombé par terre / c’est la faute à Voltaire», sono caduto per terra e la colpa è di Voltaire.
Anche per questo, forse, John Kerry ha sentito il bisogno e comunque ha colto l’opportunità per esprimere la solidarietà sua e dell’America al popolo e alla società francesi, che qualcuno ha inteso colpire al cuore. Non è chiaro chi, anche se i primi «sospetti» (forse incoraggiati e guidati) puntano su Al Qaida, l’organizzazione che la strage che inaugurò il nuovo secolo fra i grattacieli di Manhattan e che divenne per questo la cupola del terrore e il suo inventore Osama Bin Laden l’incarnazione del Male.
Da un anno a questa parte Al Qaida è un po’ giù di moda. Il suo posto l’ha preso Isis, con il suo Califfo e i suoi tagliagole, in un sussulto di barbarie che obbligò gli stessi orfani di Bin Laden a «scomunicarla» e invitare i terroristi a limitarsi ad ammazzare la gente sparandogli. L’eccidio parigino risponde anche a una rivendicazione di progenitura?