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Ecco novità e polemiche del decreto fiscale

Grazie all’autorizzazione del gruppo Class editori pubblichiamo l’analisi di Marino Longoni apparsa su Italia Oggi.

Un Paese ancora ostaggio dell’antiberlusconismo. Lo dimostra la polemica esplosa nel primo weekend di gennaio su un articolo di poche righe contenuto nella bozza di decreto legislativo sulla certezza del diritto approvato dal governo il 24 dicembre: questo provvedimento, tra le altre cose, rivede, in alcuni casi al ribasso, in altri casi al rialzo, le sanzioni tributarie. Nella bozza, all’ultimo momento è stata inserita una modifica al decreto legislativo 74/2000, con l’introduzione di un articolo 19-bis che recita: «Per i reati previsti dal presente decreto (tutti i reati tributari, ndr), la punibilità è comunque esclusa quando l’importo delle imposte sui redditi evase non è superiore al 3% del reddito imponibile dichiarato o l’importo dell’imposta sul valore aggiunto evasa non è superiore al 3% dell’imposta sul valore aggiunto dichiarata. Per tali fatti sono raddoppiate le sanzioni previste dal decreto legislativo n. 471 del 1997».

Se questa norma entrasse in vigore non si avrebbe sanzione penale quando la frode o l’evasione coinvolge importi inferiori al 3% del reddito dichiarato. Naturalmente continuerebbero ad applicarsi le sanzioni amministrative, che anzi vengono raddoppiate, quasi a compensare la cancellazione del reato. La norma si va a sovrapporre, e quindi va coordinata con altre previsioni dello stesso provvedimento. Per esempio, in caso di dichiarazione infedele, il reato non sussiste ogni volta che l’imposta evasa è inferiore a 50 mila euro, oppure se l’imponibile occultato non supera il 10% del dichiarato, salvo che superi 2 milioni. Quindi per i fatturati di maggiori dimensioni, per esempio di qualche milione di euro, non c’è alcuna soglia. In questo caso, l’introduzione di un limite ulteriore, pari al 3% del fatturato, ha senso perché impedisce l’incriminazione di condotte che, rispetto al fatturato, sono di modestissima entità. Ricordiamo che si può avere dichiarazione infedele anche quando si indichino elementi attivi o passivi non riconosciuti in sede di accertamento.

In materia di fatture false, al momento, non esiste nessuna soglia di non punibilità. Quindi, in teoria, si rischia la galera anche per una singola operazione del valore di 10 euro. Lo stesso schema di decreto legislativo introduce un tetto di mille euro di imponibile per periodo d’imposta. Con l’articolo 19-bis si aggiungerebbe una ulteriore soglia rapportata al fatturato.

Insomma, nulla di scandaloso: spesso la norma ha una funzione doverosa di copertura di situazioni che le altre soglie di punibilità non riescono a soddisfare. È una questione di equità e di snellimento dei carichi burocratici. L’unico problema quindi è, di fatto, politico: con l’entrata in vigore di questa norma, si finirebbe per coprire anche il reato per il quale è stato condannato Silvio Berlusconi. Con la conseguenza che il giudice del riesame con tutta probabilità dovrebbe far decadere le sanzioni penali già inflitte (e in parte già scontate dall’interessato, come l’affidamento ai servizi sociali). In pratica verrebbe meno solo la decadenza dai pubblici uffici con la conseguente candidabilità di Berlusconi alle prossime elezioni.

Per evitarlo, c’è chi chiede la sospensione dell’intero decreto legislativo. Quindi, per non fare un favore a Berlusconi, bisognerebbe rinunciare a un serio tentativo di razionalizzazione del sistema sanzionatorio penale e a numerose altre disposizioni di un certo spessore come la disciplina dell’abuso di diritto o della voluntary disclosure: bloccare il decreto sulla certezza del diritto, in questo caso, significherebbe rinunciare alla norma che consentiva il raddoppio dei termini di accertamento a condizione che la notizia di reato presentata entro gli ordinari termini di accertamento. Con la conseguenza che, in molti casi, la voluntary costerebbe il doppio, e comunque i calcoli di convenienza verrebbero stravolti.

Resta da capire se la semplificazione fiscale sia sacrificata all’obiettivo di tenere Berlusconi fuori dal Parlamento o se, viceversa, l’antiberlusconismo sia una leva utilizzata dai talebani del fisco per bloccare un provvedimento di civiltà fiscale, a loro non gradito, come sembra suggerire l’intervista a Vincenzo Visco pubblicata ieri dal Corriere della Sera.


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