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Ecco le vere mire di Renzi e Berlusconi su Italicum e Quirinale

Questo commento è stato pubblicato oggi da La Gazzetta di Parma

Per regolare un po’ di conti con Matteo Renzi, lo spunto nobile (o la scusa astuta) erano i capilista bloccati. Pur di cancellarli in nome di mamma-preferenza per tutti i candidati, e far così sapere al presidente del Consiglio che non ha sempre ragione, la minoranza del Pd prende di mira l’Italicum. Tenta l’incursione sulla nuova legge elettorale, ma l’offensiva è respinta all’assemblea del gruppo al Senato, che approva a maggioranza l’impianto renziano e si spacca: 71 sì e 29 dissidenti che non partecipano al voto. “Abbiamo i numeri”, assicura il ministro Maria Elena Boschi con gli occhi già puntati all’aula di palazzo Madama, dove il testo viene votato in queste ore. I ribelli attaccano l’Italicum per colpire il primo e importante frutto del patto del Nazareno concluso un anno fa tra Matteo Renzi e Silvio Berlusconi. E riaffermato proprio alla vigilia del voto al Senato con l’incontro fra i due contraenti a palazzo Chigi.

Dunque, l’accordo del disaccordo è l’oggetto della contesa, e anche in Forza Italia non mancano i contrari al premio di maggioranza attribuito al partito (anziché alla coalizione vincente). “E’ un suicidio”, accusa Raffaele Fitto. In punta di diritto il testo si presta a ben più di un’obiezione, e poderose. Ma ormai la questione non è giuridico-costituzionale: è politica. Renzi deve dimostrare che nel Pd diviso comanda lui, il segretario. Berlusconi che è ancora e sempre il capo di Forza Italia.
Ma il passaggio dell’Italicum è solo l’anticamera delle sette camicie che il giovane capo dell’esecutivo dovrà sudare per portare a casa il presidente della Repubblica, giovedì 29 gennaio. Squadra che vince, si sa, non si cambia. E se il patto regge sull’Italicum, dove la sfida è temeraria, avrebbe poco senso non farlo valere anche per il Quirinale. E poi il sostegno di Forza Italia sulla legge elettorale non è un aiutino disinteressato. E’ il suono di un campanello d’allarme per Renzi: senza l’appoggio del centro-destra, che adesso cerca di ricomporsi all’insegna de “l’unione fa la forza”, il presidente del Consiglio tornerebbe in balia dei suoi antipatizzanti nell’ora dell’elezione -con voto segreto- del capo dello Stato.

Le dimissioni a sorpresa di Sergio Cofferati, sconfitto alle primarie del Pd in Liguria, e i sondaggi che hanno dato il partito in calo a livello nazionale, e il plateale, durissimo scontro in corso al suo interno sono terreno troppo fertile per chi non sopporta la politica, il carattere, il patto, insomma tutto del presidente del Consiglio e insieme segretario. E spera di contrapporgli un capo dello Stato per tenergli testa. Speranze, pur diverse, ne nutre anche il centro-destra. Vuole piazzare al Colle una persona che non provenga da sinistra per riequilibrare il profilo politico di tutte le più alte cariche dello Stato. A sua volta Renzi deve trovare una figura gradita agli italiani, prima ancora che ai partiti. Gradita per capacità di ruolo e per novità di presenza. L’uomo che rivendica il cambiamento, “rottamatore” per auto-definizione, come farebbe ad accettare il nome di un politico dalle troppe stagioni alle spalle? Coi riflettori dei 5 Stelle, oltretutto, già puntati addosso. Regolare i conti del Quirinale, ecco l’impresa più difficile per tutti.


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