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Ecco quanto il petrolio a basso costo farà piangere la Russia di Putin

daghestan

Gli effetti del crollo del prezzo del petrolio sugli emergenti oil exporter sono rapidi e intensi e visibili negli andamenti dei loro PIL nel 2015-16. Questi paesi pesano per il 7,7% sull’export italiano, con Russia, Emirati Arabi e Arabia Saudita come principali sbocchi (per un 4,9% totale).

Il CSC rivede all’ingiù le previsioni del PIL russo nel 2015 e nel 2016: -5,0% e -1,8% (in dicembre -1,4% e -0,4%). La recessione deriva dal repentino calo del prezzo del greggio e dagli effetti della crisi Ucraina che, attraverso le ritorsioni commerciali e finanziare, ha innescato fuga di capitali e crollo del rublo. La recessione è accentuata dalle debolezze strutturali irrisolte.

Anche le stime di crescita per Emirati e Arabia peggiorano: da oltre il 4% annuo, per entrambi, nel 2015-16 a meno del 3% (secondo le nuove stime dell’FMI di gennaio 2015). Sono meno vulnerabili di altri oil exporter grazie alle ingenti riserve accumulate e a una relativa diversificazione dell’economia (il settore non oil rappresenta il 65% del valore aggiunto negli Emirati e il 56% in Arabia).

L’economia cinese è cresciuta del 7,4% nel 2014, minimo dal 1990. Nonostante il calo del prezzo del greggio e gli interventi di stimolo del governo, il rallentamento è proseguito: +1,5% congiunturale il PIL nel 4° trimestre (da +1,9% nel 3°) e 49,8 il PMI manifatturiero a gennaio (stima flash). Probabili ulteriori misure, non solo monetarie, nei prossimi mesi. In India, grazie all’inflazione sotto l’obiettivo del 6% (5,0% annuo in dicembre), la Banca centrale ha anticipato a gennaio il primo di una serie di tagli del tasso ufficiale (-25 pb, a 7,75%), che nel 2015 favoriranno la crescita insieme alle riforme. In Turchia, la frenata dei prezzi al consumo (+8,2%
in dicembre, ai minimi da febbraio) e forti pressioni politiche indurranno le autorità monetarie a ridurre ulteriormente i tassi nel 2015 (-50 pb in gennaio) a sostegno dell’economia.

In controtendenza si è mossa la Banca centrale del Brasile: il terzo rialzo consecutivo del tasso ufficiale in gennaio (+50 pb, a 12,25%), causato da un’inflazione ancora non sotto controllo (+6,4% annuo in dicembre), mette a rischio la ripresa dell’economia stagnante nel 2014 (+0,1% il PIL).

Leggi qui l’analisi completa del Centro studi di Confindustria


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