Skip to main content

Ecco quanto crescerà il Pil europeo per il petrolio a basso costo

Uno dei temi centrali dello scenario congiunturale è il differenziale di crescita fra gli Stati Uniti e gli altri paesi avanzati, da cui derivano l’orientamento opposto delle politiche monetarie e la propensione al rafforzamento del dollaro.

Questo è lo sfondo sul quale si innesta il crollo delle quotazioni petrolifere. Il più basso prezzo del petrolio produrrà un aumento della crescita nei paesi importatori di 0,3-0,4% nel 2015, con possibili ma incerti effetti secondari che potrebbero protrarsi fino al 2016. Contestualmente, lo shock porta a una drastica revisione al ribasso delle stime di inflazione 2015. Basterà tutto questo a far partire una crescita sostenibile in Europa e Giappone?

L’altro lato della medaglia è un maggior rischio di instabilità finanziaria nei paesi più dipendenti dall’export di petrolio, che si aggiunge a tanti altri fattori di rischio. L’andamento dei dati macroeconomici degli ultimi mesi è stato caratterizzato da una diffusa prevalenza di sorprese negative nella gran parte dei paesi avanzati e in alcuni grandi paesi emergenti. Tranne che negli Stati Uniti, i ritmi di crescita sono stati blandi rispetto al trend storico e la crescita del commercio mondiale è rimasta bloccata su livelli deludenti. I molteplici focolai internazionali di crisi sono tutti ancora attivi, e continuano a generare incertezza. L’accentuarsi delle divergenze regionali ha rafforzato le aspettative che la stessa tendenza caratterizzi nei prossimi mesi anche l’orientamento delle politiche monetarie, ed ha accentuato la volatilità dei mercati valutari. La forza relativa dell’economia americana ha portato il dollaro a massimi pluriennali come cambio effettivo, mentre l’accelerazione dello stimolo monetario in Giappone e nell’Eurozona ha accelerato il deprezzamento dello yen e dell’euro.

Questo è il quadro nel quale si colloca il grande shock globale dell’autunno 2014, cioè il calo ampio e violento delle quotazioni petrolifere, che si prospetta come uno dei maggiori fattori guida dello scenario 2015.

grafici 1 e 2

L’IMPATTO DIRETTO SULLA BOLLETTA ENERGETICA

Il fenomeno è iniziato a luglio, ma ha acquistato velocità nel 4° trimestre. La “sorpresa” rispetto allo scenario di settembre, quando si scontava una sostanziale stabilità dei prezzi sui livelli del 2014, è pari al 28,3% per la media 2015. Considerando il livello delle importazioni nette di greggio del 2013, tale variazione di prezzo comporta un alleggerimento delle importazioni a prezzi correnti pari allo 0,4-0,6% del PIL per i principali paesi avanzati. L’impatto effettivo sul PIL risulterà minore a motivo della probabile contrazione delle esportazioni verso i paesi produttori, stimabile cautelativamente in 0,1-0,2% del PIL. L’effetto netto dovuto al solo calo delle quotazioni petrolifere (senza cioè considerare gli effetti ritardati che potrebbero verificarsi sul gas naturale), è perciò pari allo 0,3-0,4% per le tre maggiori economie, Eurozona, Stati Uniti e Cina, mentre potrebbe essere marginalmente più ampio per Spagna e Giappone. Il beneficio è invece marginale per il Regno Unito, a motivo delle basse importazioni nette di petrolio.

GLI EFFETTI SECONDARI SULLA DOMANDA INTERNA

La contropartita interna delle minori importazioni energetiche è inizialmente costituita quasi esclusivamente da un aumento del risparmio da parte delle famiglie (minori spese in carburanti) e imprese (minori costi intermedi, maggiori margini di profitto). Il calo delle importazioni si rifletterà in parte in un incremento del PIL nominale e in parte in un calo dei consumi a prezzi correnti. Assieme al miglioramento dei margini di profitto delle imprese, tuttavia, la liberazione di potere d’acquisto potrebbe attivare effetti secondari positivi sulla domanda interna, in particolare consumi e investimenti. Ovviamente, per effetto dell’imposizione fiscale che grava sui carburanti, il calo dei prezzi arriva smorzato ai prezzi finali: nel 2009, per esempio il trasferimento fu pari al 30-40%. Relativamente ai consumi, assumendo che questa volta la trasmissione sia analoga e considerando il peso dei carburanti nel paniere dei consumi, il guadagno di potere d’acquisto per le famiglie potrebbe comunque essere pari allo 0,3-0,5% del reddito disponibile, cioè allo 0,2-0,3% del PIL.

Una stima di tali effetti secondari può essere ottenuta mediante l’uso di modelli econometrici strutturali. Nel modello Oxford Economics, per esempio, la revisione delle proiezioni per i prezzi petroliferi produce un impatto di 0,3-0,4% nel 2015, seguito però da una coda di significativi effetti positivi secondari che si estende al 2016 e particolarmente marcata per alcuni paesi (per esempio, gli Stati Uniti).

grafici 3 e 4

L’effettivo manifestarsi di un incremento della domanda interna come conseguenza indiretta dello shock petrolifero dipende però dal contesto (clima di fiducia di famiglie e imprese, la necessità di ridurre un indebitamento eccessivo ecc.). La scarsa efficacia fin qui mostrata dalla politica monetaria nello stimolare gli investimenti delle imprese consiglia di non attendersi effetti particolarmente positivi sulla spesa in conto capitale: il risparmio potrebbe essere indirizzato al rafforzamento patrimoniale delle imprese. Il trasferimento sui consumi dovrebbe invece essere significativo.

PETROLIO, PREZZI AL CONSUMO E POLITICHE MONETARIE

L’attivazione degli effetti secondari sulla domanda interna è strettamente legata agli impatti sugli indici dei prezzi energetici, che può attivare cali successivi anche dei prezzi di manufatti e servizi non energetici attraverso il trasferimento del risparmio realizzato sui costi di produzione.
L’impatto diretto sugli indici dei prezzi al consumo riferibile alla sola componente dei carburanti è pari allo 0,4-0,5% in Germania, Francia e Italia, all’1,1% negli Stati Uniti, dove l’incidenza delle imposte è più bassa. La simulazione mediante il modello Oxford Economics, che cerca di stimare anche gli effetti secondari, produce una riduzione dell’inflazione complessiva variabile fra lo 0,5% e l’1,2% nel 2015, con una coda nel 2016 e un successivo rimbalzo nel 2017. La nostra stima dell’inflazione media nell’Eurozona è così scesa allo 0,5% nel 2015; la stima per gli Stati Uniti, dove la crescita dei prezzi al consumo potrebbe frenare allo 0,5% nel 2° trimestre
2015, ha subito una revisione ancor più ampia.

In generale, ciò si configura come uno shock positivo di offerta: l’eventuale calo dell’indice generale dei prezzi che ne deriva non dovrebbe essere contrastato dalla politica monetaria. Inoltre, gli effetti sull’inflazione tendono a essere transitori e facilmente reversibili, il che sconsiglia pronte risposte di politica monetaria. Il calo dei prezzi petroliferi, perciò, non giustificherebbe il rinvio di una restrizione monetaria motivata dal riassorbimento delle risorse produttive inutilizzate. Per questo motivo, continua a essere probabile un aumento dei tassi ufficiali da parte della Federal Reserve nel corso del 2015. Nell’Eurozona, tuttavia, il calo dei prezzi petroliferi può accelerare la discesa delle aspettative di inflazione, che in questo momento rappresentano la principale preoccupazione della BCE. Per questo motivo, nonostante il sostegno alla domanda aggregata fornito dal calo della bolletta energetica, il calo del prezzo del petrolio potrebbe indurre la BCE ad adottare nuove misure di stimolo monetario nei prossimi mesi.

grafici 5 e 6

RISCHI DI INSTABILITÀ FINANZIARIA?

L’altra faccia della medaglia è costituita dal violento peggioramento delle ragioni di scambio per gli esportatori di petrolio, spesso poco diversificati e dipendenti dagli introiti dell’export petrolifero per quote molto elevate delle proprie importazioni di beni e servizi, nonché del bilancio pubblico. La figura 6 riassume l’incidenza sui maggiori paesi esportatori in percentuale del PIL. L’impatto è superiore al 10% del PIL per altri paesi non inclusi nel grafico, come Congo, Angola, Gabon, Libia, Azerbaijan, Oman, Kuwait, Qatar e Venezuela. In alcuni paesi, la riduzione della rendita petrolifera potrebbe causare problemi nel mantenere la coesione sociale, o costringere il Governo ad accettare vuoi una crescita dell’indebitamento o una riduzione delle riserve valutarie accumulate negli anni precedenti (dove sono disponibili). In alcuni casi potrebbe aumentare la fragilità finanziaria del Paese.

BASTERÀ L’AIUTO DEI PRODUTTORI DI PETROLIO?

Grazie ai più bassi prezzi del petrolio, lo scenario 2015 potrebbe effettivamente vedere quella modesta accelerazione della crescita globale dal 3,2% al 3,6% che il peggioramento dei dati congiunturali stava per cancellare. Il ruolo trainante continuerà a essere svolto dagli Stati Uniti e dall’Asia, anche se quest’ultima è prevista in ulteriore rallentamento. Anche per il deprezzamento di euro e yen, la crescita dovrebbe rafforzarsi sia nell’Eurozona, sia in Giappone. Tuttavia, il ritmo di espansione rimarrà modesto in entrambe le aree.

I potenziali rischi rimangono numerosi ed elevati: la mancata soluzione della crisi ucraina, le difficoltà crescenti dell’economia cinese, le implicazioni del dollaro forte sui paesi emergenti, i problemi del processo di riduzione del debito nell’Eurozona – visto il contesto di bassa crescita nominale e di profondo disaccordo sulle strategie di politica economica. Presto o tardi, qualcuno di questi rischi si potrebbe concretizzare. Perciò, in Europa e in Giappone, l’aiuto arrivato dal mercato dell’energia e dai riallineamenti valutari sarà vano se nei prossimi trimestri non si rafforzerà la domanda interna. In Giappone, il Governo sembra orientato a utilizzare ancora la leva fiscale per rilanciare la domanda interna. Nell’Eurozona, la ripresa dovrà partire dal settore privato: l’orientamento della politica fiscale è previsto pressoché neutrale e non sono all’orizzonte novità significative da parte dell’unico paese che avrebbe spazio e motivi per attuare uno stimolo fiscale, cioè la Germania.

grafico 7


CONDIVIDI SU:

Gallerie fotografiche correlate

×

Iscriviti alla newsletter