La voce e la forza delle politiche di Pari opportunità intorno alle candidature al Quirinale si è spenta troppo velocemente. Si leggono nomi maschili e pochi – già bruciati – femminili. Ma a rinvigorire la questione bisogna ricominciare con l’attualità che viviamo. Il Santo Padre ieri a Manila, ascoltando la piccolina e il suo pianto disperato contro la violenza vissuta, ha ricordato che le donne hanno molto da dirci nella società di oggi, affermando l’atteggiamento maschilista e ricordando che” Le donne sono capaci di vedere le cose con occhio distinto, con differente sguardo, le donne sono capaci di porre questioni che noi uomini non siamo capaci di capire, hanno più attenzione, si fanno domande oggi la unica domanda che non ha risposta ce la ha posta Jun. Non le sono bastate le parole, e così ha pianto, ha avuto bisogno delle lacrime, così quando viene il prossimo papa a Manila, per favore che ci siano più donne”.
E contemporaneamente in America ci voleva Janet Yellen perché l’economia mondiale si ponesse finalmente il problema della giustizia sociale, lei a capo della Federal Reserve, colei che da esattamente 1 anno è presidente della potentissima Banca Centrale degli Stati Uniti, e come tale la voce economica più potente del mondo. Lei è la prima presidente donna nella storia della FR. Una donna che, ricordiamo, ha vinto su quello che ebbe a dichiarare colui che ossessionato di maschilismo reietto, dichiarò che le donne, a causa della loro conformazione del cervello, non sono in grado di dominare le materie scientifiche e dunque l’economia. Una donna, ricordiamo, che fu anche fortemente osteggiata nella sua candidatura: tanto che gruppi conservatori arrivarono perfino a promuovere una petizione per metterla fuori gioco. Tentativi prontamente bilanciati da molte contro-petizioni, fra cui una lettera in suo favore scritta per iniziativa dell’ Institute for Women’s Policy Research. E da quando sta su quella poltrona spinge i mercati finanziari a rivedere tutti gli assunti che, dominando il pensiero economico negli ultimi 40 anni, ci hanno portato dove siamo ora: e cioè non proprio a vette luminose. E tra i cambiamenti più notevoli c’è lo smettere di temere, anzi addirittura accogliere positivamente, l’ipotesi di una vera crescita dei salari reali (cioè la loro crescita al di sopra e al di là del tasso di inflazione).
La crescita dei salari reali è stata per decenni uno spauracchio, qualcosa visto solo come un grosso problema: come segnale di allarme di inflazione e motivo per alzare i tassi. L’economia dovrebbe misurare le condizioni di vita delle persone, i trader statunitensi e gli economisti di Wall Street (quelli che pendono da dati quali tassi di crescita del PIL, aggiornamenti sugli ordini di beni strumentali, prestiti commerciali e industriali, tassi di utilizzo della capacità produttiva ecc) non dicono mai nulla di concreto sulla situazione economica delle famiglie americane. Anche dal rapporto mensile sui posti di lavoro non si trae una visione chiara: infatti un tasso di disoccupazione in calo può significare più assunzioni o più persone uscite dal mercato del lavoro e se peggiorano le condizioni di lavoro e di salario, la crescita di assunzioni non sempre significa che le persone stiano meglio.
Nell’ultimo anno, però, qualcosa è cambiato riguardo agli indicatori tenuti d’occhio a Wall Street e denque negli States: prende piede un nuovo indice, semplice e chiaro, sulla salute delle famiglie americane: quello del salario dei suoi indicatori principali correlati alla loro crescita dei salari, al valore del salario reale medio del lavoratore dipendente, esaminando una serie di indicatori salariali per valutare le prospettive di crescita dei salari. Questa nuova attenzione di Wall Street per il destino finanziario dei lavoratori si deve a lei, a Yellen. I quotidiani più autorevoli descrivono la FED di Janet Yellen più rivoluzionaria di quanto sia mai stata quella di Ben Bernanke: spiegando come la nuova presidente abbia non solo focalizzato la propria attenzione sull’occupazione, ma anche riportato nel dibattito economico concetti che erano stati azzerati, come appunto l’aumento dei salari e altri indicatori economici concreti. Del resto Janet Yellen punta il dito (finalmente e come altri non hanno mai fatto) sul legame tra politica monetaria e disuguaglianza:dichiarando tutta la sua preoccupazione per l’aumento delle disuguaglianze economiche, osteggiando l’idea che la politica monetaria possa essere neutra, sostenendo anzi che essa ha sempre effetti distributivi: ha dunque azione diretta sull’aumentare o ridurre le disuguaglianze.
E’ un segnale importante, e storico, che la Federal Reserve si ponga il problema di come intervenire in prima persona per mitigare l’ingiustizia sociale. Qualcosa che dovrebbe ispirarci fare pressioni anche sulle banche europee. Dopo un solo anno di mandato, il lavoro della Yellen vede risultati positivi sia dal punto di vista del Pil sia da quello dell’occupazione, visto che il numero dei senza lavoro è sceso ai minimi storici; e anche il dollaro si è rafforzato. Ora secondo alcuni la FR è pronta ad alzare i tassi pensando di rinvigorire l’economia americana sul medio periodo trascurando momentaneamente le ripercussioni negative che il provvedimento avrà sul mercato. Yellen ha sempre detto chiaro di non apprezzare la grande volatilità delle Borse che veniva originata proprio dai provvedimenti Fed: la sua attenzione si sposta dunque a far si che l’economia riprenda a camminare con le proprie gambe. Ecco appunto ,impariamo anche noi a camminare con le nostre gambe ad avere il coraggio di affermare le nostre proposte che su queste pagine in materia economica e politica abbiamo sempre affermato.
Impariamo anche noi donne italiane a far sentire il peso delle proposte in materia economica e monetaria ,pochè non si abbandona senza dir nulla la proposta di un intervento sul cuneo fiscale, sul costo del lavoro,poiché la stagnazione dei salari va affrontata come una questione di equità e di crescita economica, poichè le disuguaglianze in generale sono determinate in maniera significativa dalle disparità salariali, la questione va affrontata attraverso le politiche del mercato del lavoro. Anche i meccanismi di ridistribuzione fiscale, come la tassazione e le politiche di protezione sociale, sono parte della soluzione, ma non possono da soli portare tutto il peso della lotta contro le disuguaglianze. Una strategia globale dovrebbe comprendere politiche per il salario minimo, il rafforzamento della contrattazione collettiva, poiché la sua efficacia dipende dalla posizione dei lavoratori nella distribuzione dei salari, dall’esito delle negoziazioni per i diversi tipi di lavoratori e dal grado di centralizzazione e coordinamento della contrattazione stessa. Complessivamente, occorre considerare i salari minimi e la contrattazione collettiva come fattori complementari di una medesima azione politica l’eliminazione delle discriminazioni nei confronti dei gruppi più vulnerabili, come pure politiche fiscali progressive e sistemi di protezione sociale efficaci.
Occorre anche un maggiore sostegno alle imprese nell’economia reale, specie le piccole e medie, per permettere loro di crescere e di creare posti di lavoro. Molti paesi possono fare di più per favorire l’accesso di queste imprese al credito e semplificare le procedure per la creazione di impresa. Secondo il rapporto, sono necessarie anche strategie coordinate a livello internazionale. Se molti paesi cercano di aumentare le esportazioni riducendo i salari o le prestazioni sociali, questo potrebbe portare ad una grave contrazione della produzione e degli scambi commerciali. Il silenzio delle donne non fa bene al nostro paese. CORAGGIO donne italiane!