C’è una questione da chiarire in queste vicende: la religione è uno sfondo usato per giustificare le azioni più orribili. Questo è stato così per il Cristianesimo, non meno che per l’Islam di oggi. I pazzi, i fanatici e i drogati di potere sono esistiti e purtroppo esistono tutt’ora, da una parte e dall’altra.
Quando sentiamo gente che uccide proclamando il volere di Dio la prima cosa che viene da dire è: la religione è colpevole. Altri dicono: ma se Dio esiste, come può permettere tutto questo? Le risposte sono tante, e generano altre domande sempre più complesse.
Cosa voglia Dio non lo sa nessuno. Facciamocene una ragione: nemmeno il Papa, che è molto più umile di tanti altri, osa arrogarsi il diritto di sapere cosa passa per la testa di Dio (ammesso esista, e in base alle rispettive credenze si dirà di sì o di no) e affermare che Dio non vuole qualche cosa lo trovo arrogante e irrispettoso: un fedele deve avere umiltà, non può pensare di poter interpretare il volere di un’entità onnipotente e onnisciente. Ma tant’è.
Se uno uccide un altro, a prescindere dal motivo per cui lo fa, è un assassino. Non c’è altra definizione. Non ha commesso l’omicidio perché è islamico, non perché è cattolico non perché è ateo: è perché è un assassino. Stop.
Per tutti coloro che infrangono le “regole di Dio” (scritte poi dagli uomini…) c’è il peccato e solo due opzioni dopo la morte: la salvezza o la dannazione. Per gli atei c’è il vivere bene e rettamente questa vita, perché dopo non c’è niente: per loro non c’è un premio o una punizione ad attenderli. C’è l’obbligo morale, l’imperativo categorico di vivere hic et nunc nel modo giusto.
Dovrebbe essere questa la norma un po’ per tutti: vivere bene, fare il bene. Questo rientra, per me, già nel buon senso e nel vivere in comunità. Poi possiamo chiamarlo: modo di vivere, fede o quello che volete.