Grazie all’autorizzazione del gruppo Class e dell’autore, pubblichiamo il commento di Alberto Pasolini Zanelli uscito sul quotidiano Italia Oggi diretto da Pierluigi Magnaschi
Per Charlie Hebdo si continua a piangere, a indignarsi, a fremere. E a morire, in ultimo, per ora, quattro giovani in una città del remoto Niger, durante una dimostrazione di protesta islamica. Altri sono scesi nelle strade in Pakistan, in Giordania, in Algeria. Severe reazioni sono venute da governi, imam, giornali dall’Arabia Saudita fondamentalista alla «laica» Turchia di Erdogan.
Non condannano i terroristi assassini ma i colleghi delle vittime, i redattori superstiti di quella rivista satirica che ha già pagato col sangue e che è colpevole di aver messo in copertina una straordinaria frase di riconciliazione («Tutto è perdonato») ma dietro la testa di Maometto con una lacrimetta all’occhio. Una caricatura nobile e sconsolata ma ancora una caricatura, un ritratto, la violazione di un tabù. Una «provocazione» per chi è solidale con i perpetratori.
Che reagiscano così non è una sorpresa. Meno scontato è il tono delle voci che vengono dalla parte opposta, da una grossa fetta dell’opinione pubblica occidentale. Dietro la solidarietà di tre quarti del mondo alla Francia e a Charlie, spunta la richiesta affannosa di reazioni di forza che dovrebbero «dare l’esempio» e prevenire altri gesti criminosi; giri di vite, inasprimenti della censura nel quadro delle leggi contro gli «incitamenti all’odio». Certe espressioni vanno proibite perché inumane (ed è vero), ma anche perché sono provocatorie e possono indurre a reazioni. A tali gesti si dovrebbe «reagire» con la censura alle parole (e ai disegni).
È un paradosso, sotto molti aspetti. Fra l’altro, essa segnala una voglia più o meno espressa di avvicinare la legislazione e la prassi europee a quelle messe in moto quattordici anni fa mentre ancora bruciavano le rovine delle Torri gemelle, sotto il nome di Patriot Act, che dilatò i poteri della censura e fornì una base legale alle reazioni di vario tipo che l’emergenza pareva dettare, dalle guerre in Afghanistan e poi in Iraq all’estensione dei poteri della Cia e di altri organismi di autodifesa preventiva. Inaugurate da Guantanamo ma con radici ben più profonde. Oggi sappiamo che alcune misure furono efficaci, ma che tante altre, troppe, sono state e sono controproducenti. L’esempio più noto è Guantanamo, che fornì ai predicatori di odio pretesti per aizzare la sete di vendetta, gettò nelle loro braccia reclute sempre nuove e più cieche, arruolate in imprese efferate come quelle su cui si basa il sogno torbido del Califfato.
Pochissimi in America vi si opposero, fra cui un giovane senatore di nome Barack Obama, che scelse subito una posizione impopolare in nome dei princìpi ma anche della prudenza politica. L’Europa si tenne allora il più possibile distante. Oggi metà degli americani la pensa in questo come il presidente, come lui riconosce che le avventure afghana e irachena furono un errore.
Da presidente, Obama promise subito di chiudere Guantanamo, ma finora non ci è riuscito, anche se ha fatto scarcerare gran parte dei detenuti innocenti del tutto e ultimamente ha accelerato i tempi per mantenere quella promessa.
I recenti tragici sviluppi in Europa potrebbero oggi rendergli ancora più difficile mantenere quella promessa, in questo momento meno popolare. Un ostacolo in più potrebbero diventare gli alleati europei in stato di choc, con iniziative quali l’inasprimento dei controlli sui passaporti, che verrebbero a far decadere quel Trattato di Schengen sulla libera circolazione delle persone all’interno dei paesi dell’Europa che costituisce, finora, il passo più significativo nella costruzione dell’Europa stessa. Si avverte (e si comprende) la tentazione di promulgare una versione europea del Patriot Act, con tutti i suoi rischi, che è toccato a Obama ricordare agli alleati. Per esempio che la legislazione europea contiene già, a differenza di quella americana precedente all’11 settembre, gli strumenti necessari e non sussiste pertanto l’urgenza di ricorrere a misure che incrinino le garanzie fondamentali delle libertà che caratterizzano l’Occidente e la sua superiorità anche morale.
Se gli estremisti islamici aggrediscono questi nostri valori fondamentali, dobbiamo stare attenti a non facilitarne il compito collaborando paradossalmente a metterli in pericolo. Sono un prodotto di quella libertà che dovrebbe essere per noi un valore assoluto. Il nostro Corano. Il Corano della libertà.