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Tutti i veri problemi della Francia (non solo il terrorismo islamico)

L’attentato a Parigi colpisce al cuore una Francia già in crisi profonda. E’ tangibile il senso di frustrazione, determinato da una debolezza politica prima ancora che economica.

L’identità sociale è tenuta sotto scacco: a chi guarda da fuori, sembra incredibile che le manifestazioni di piazza, così come gli scioperi di categoria, riescano a raccogliere ancora adesioni tanto ampie e convinte: i francesi non si arrendono alla globalizzazione senza diritti. Per la verità, se tanti diritti sociali sono messi in discussione per via del loro costo, rendendo poco competitiva l’economia francese, è ancor più grave la progressiva debolezza del ruolo politico internazionale della Francia.

Da qualche mese i francesi si sentono assediati addirittura da Bruxelles, da quella Commissione europea che l’establishment tecnocratico francese aveva sempre considerato come una sua amorevole creatura: è inconcepibile, ora, vedersi scrutinati i bilanci pubblici ed addirittura suggerite le riforme strutturali da approvare per migliorare la produttività.

Le cause della debolezza della Francia sono innanzitutto politiche: la costruzione dell’Unione europea ha assorbito ogni altro disegno internazionale, facendole perdere leadership. Sul piano militare la leadership si è affievolita, residuando così una capacità dell’apparato ampiamente superiore rispetto alla autonomia politica. Dopo essersi tenuta fuori dalle coalizioni lanciate dagli Usa per intervenire in Afganistan e poi in Irak, la Francia è riuscita a ritagliarsi un ruolo di primo piano solo quando la sua convenienza strategica nel Mediterraneo ha coinciso con quella degli Usa e della Gran Bretagna, così come è accaduto nel caso dell’intervento finalizzato ad abbattere il regime di Gheddafi.

Al contrario, nel caso della Siria, le navi francesi dovettero tornare indietro nonostante il Presidente americano Obama avesse annunciato al mondo intero che per l’attacco al regime di Assad era già stato superato il “redtape”. L’intervento francese in Mali, infine, non è stato degnato di alcuna considerazione dagli alleati europei: è stato considerato quasi una sua questione interna, una sorta di operazione di polizia militare in un Territorio d’Oltremare. Anche nel corso della vicenda crimeana e delle successive sanzioni comminate alla Russia, la posizione francese è rimasta appannata rispetto al ruolo giocato dalla Germania. La famosa violenza verbale con cui il generale De Gaulle rivendicava la assoluta libertà della Francia nel tessere i rapporti internazionali con la Russia è appena un ricordo: erano davvero altri tempi, un’altra Francia.

Eppure c’era stato, visibile e determinato, nel 2008, un momento in cui la Francia di Sarkozy aveva capito che era arrivata l’ora di sbarazzarsi della strategia esclusivamente filoeuropea che l’aveva impaniata fino a trasformarle nella controfigura della Germania, nell’ombra di una potenza industriale consolidatasi con l’estensione dell’Unione europea a nord-est, verso il Baltico ed i Paesi slavi. L’Unione euro-mediterranea, varata allora con la copresidenza affidata al Premier egiziano Mubarak, sarebbe stata una istituzione parallela all’Unione europea: spostava l’asse dello sviluppo verso Sud, un baricentro finalmente lontano da Bruxelles. La crisi economica è arrivata prima che il progetto, naturalmente osteggiato dalla Germania e dai Paesi dell’est europeo, potesse decollare. Da allora, la politica estera della Francia è tornata passiva, al traino della Germania in Europa e degli Usa nel Mediterraneo: ha abdicato, purtroppo, al sogno di mantenere viva nel mondo l’idea della Francia come faro dei diritti di libertà, di uguaglianza e di fraternità fra gli uomini.

L’Unione euro-mediterranea, in questo spirito, sarebbe stata il motore di quella integrazione culturale che oggi manca: è questo il vero punto di collasso, il gorgo attorno a cui si avvita il conflitto tra le civiltà: la solidarietà verso le vittime dell’attentato di Parigi e la lotta al terrorismo rischia di essere solo la scusa per fare nuove guerre, un altro tassello per alimentare la tensione internazionale nel Mediterraneo.
Adesso tutte le debolezze economiche della Francia vengono allo scoperto: si va dal passivo strutturale della bilancia commerciale al deficit cronico del bilancio pubblico, per arrivare all’apparato amministrativo efficiente quanto corpulento ed alla tassazione esorbitante.

La debolezza delle banche francesi, dopo la crisi, ha richiesto un consistente impegno finanziario pubblico: Parigi si scopre anche lei vittima di una Europa che non cresce, rinchiusa in se stessa, rissosa al suo interno, che non rappresenta un modello per nessuno.
Non c’è solo più solo una questione greca, in Europa, da risolvere: un problema di squilibri macroeconomici che è stato ingigantito ed esasperato ad uso e consumo del populismo nordeuropeo. Ora bisogna evitare che rinasca una ancora più grave e pericolosa minaccia, innescata dall’attentato di Parigi, ad uso e consumo dei tanti che dappertutto vedono nell’odio tra i popoli e nel conflitto tra le civiltà solo una maniera per prendere il potere.
Occorre assicurare la convivenza pacifica tra i popoli, fondata sul rispetto reciproco: ogni altra scorciatoia è lastricata di sangue.



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