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I volenterosi difensori del Papa. Note a margine dell’affaire Messori

Passata l’ondata di piena (polemica), vorrei soffermarmi sull’affaire Messori – innescato da un articolo dello scrittore cattolico uscito il 24 dicembre sul Corriere della Sera, dove l’autore esprimeva alcune perplessità sul pontificato di Papa Francesco – per evidenziare alcuni aspetti di una vicenda a suo modo emblematica. Innanzitutto, trovo semplicemente vergognoso che il più famoso scrittore cattolico italiano al mondo sia stato fatto oggetto di attacchi – in alcuni casi sguaiati e, soprattutto, da chi meno te l’aspetti – solo per aver dato voce, in ciò sollecitato a scrivere dal suo giornale come egli stesso ha chiarito, ad alcuni dubbi personali sull’attuale pontefice, per altro con toni assolutamente pacati e rispettosi. Toni lontani anni luce, al contrario, da quelli utilizzati da quanti hanno voluto colpire Messori impacandosi – non richiesti – a volenterosi difensori del Papa, quando non solo non ve n’era alcuna necessità ma, quel ch’è peggio, rendendo un pessimo servizio al pontefice che non ha certo bisogno di improbabili scrivani di corte, tanto più che stiamo parlando di un Papa – come ha giustamente ricordato uno dei più autorevoli osservatori l’oltreoceano, il vaticanista del Boston Globe, John Allen – che “ha invitato un robusto ed aperto dibattito sui problemi della Chiesa, che comprende certamente la sua leadership. Quando qualcuno esprime riserve, quindi, non è un atto di sfida tanto quanto uno di obbedienza”. Anche per questo stona, e non poco, addirittura una raccolta di firme per fermare gli attacchi a Papa Bergoglio, sottoscritta da numerose comunità di base, associazioni e movimenti. Ma – e qui vengo al secondo aspetto – la cosa oltremodo sorprendente (in realtà solo fino a un certo punto) è stata che gli attacchi a Messori sono giunti da quanti, anni addietro, non lesivano critiche anche feroci alla chiesa e ai papi di allora muovendo da una posizione di stampo progressista, e che ora non si sa bene per quale motivo non tollerano che qualcun altro eserciti – sia pure con ben altro stile e cultura – alcuna critica al punto da ergersi essi stessi a implacabili custodi del Papa. Ma tant’è. Nihil novi sub soli. E’ una delle costanti della storia, non solo ecclesiale, che chi ieri stava sulle barricate e contestava, oggi li ritrovi dall’altra parte a sventolare cartellini rossi sentenziando a tutto spiano. Ciò che non cambia è la sicumera di lor signori, lo stesso tono altezzoso con cui ieri a papi e vescovi, e oggi al malcapitato di turno, nella fattispecie Vittorio Messori, pretendono di insegnare come deve essere la chiesa e come si debba vivere il Vangelo. Prendi uno come Leonardo Boff. Che senza neanche fare lo sforzo, non dico di riscrivere ex novo, ma almeno di rielaborarlo, spiattella paro paro sul Corriere della Sera lo stesso commento all’articolo di Messori postato sul suo blog. E che commento! Senza sprecare troppe parole, essendo già stato stroncato a sufficienza, tra gli altri, da don Antonio Livi su La Nuova Bussola Quotidiana, segnalo solo un passaggio del suo memorabile intervento, che la dice lunga sulla statura culturale dell’ex maître à penser della teologia della liberazione. Dunque Boff, che pur avendo abbandonato il saio francescano ed essersi riconvertito all’attivismo no global in salsa eco-teologica con qualche venatura new-age, per sua stessa ammissione continua ad amministrare i sacramenti (e già questo dovrebbe far riflettere: il suo vescovo in Brasile non ha nulla da dire?), nella foga di difendere il Papa contro il “convertito” Messori che, bontà sua, “ancora deve portare a termine la sua conversione con il ricevimento dello Spirito Santo” (chissà, forse Messori potrebbe chiedere direttamente a Boff di officiargli una pentecoste ad personam), a un certo punto dice che le parole usate da Papa Francesco nel recente discorso alla Curia, le aveva sentite finora solo in bocca a Lutero e, molto immodestamente, in un suo libro (per il quale fu condannato al “silenzio ossequioso”, tanto era una perla di sapienza). Oibò. A parte l’accostamento di dubbio gusto tra il pontefice e un eretico, ciò che lascia basiti è che potendo attingere ad appena venti secoli e più di teologia e predicazione cattolica, Boff non abbia saputo far di meglio che prendere ad esempio l’orgoglioso monaco tedesco, che tanto amò la Chiesa da spaccarla in due. L’esatto contrario, per dire, di S. Francesco – che per altro da ex francescano Boff dovrebbe conoscere bene – che invece la Chiesa la riformò amandola sul serio, cioè restandole obbediente. Ma tant’è. E’ il metodo Boff, bellezza.



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