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Come cambia il lobbismo con la politica 2.0

Il lobbismo è un passo avanti verso una democrazia più partecipata. È ciò che emerso a un convegno organizzato giovedì scorso dall’Università Statale di Milano cui ha partecipato, tra gli altri, anche il lobbista di professione Fabio Bistoncini, autore del libro “Vent’anni da sporco lobbista”.

LA VERSIONE DI BISTONCINI

“Il lobbismo in Italia è sempre esistito”, spiega Bistoncini, “come all’estero, del resto; soltanto che qui da noi se ne è parlato un po’ di meno”. Ma adesso la situazione sta cambiando, ha detto, perché “il contesto globale è diverso”. Basti pensare, per esempio, al fatto che “Samsung fa concorrenza, da un lato, ad Apple sui tablet, dall’altro, a Electrolux sui frigorigeri”; oppure, nel mondo dell’informazione, “c’è sempre maggiore concorrenza tra le fonti e non è detto che ciò che dice il Corriere o il Tg1 sia sempre vero o io non l’abbia già letto altrove”. È il risultato della “globalizzazione”.

LA PARALISI DEL SINDACATO

Ciò ha portato, secondo Bistoncini, a una vera e propria “rinascita delle lobby”, dovuta al fatto che “partiti, sindacati, ordini e associazioni di categoria”, ovvero le tradizionali istituzioni di rappresentanza, “non sono più in grado di tutelare gli interessi dei loro rappresentati, perché sono rimasti ancorati al principio dell’interesse generale”. Hanno, infatti, “strutture amministrative spesso troppo grandi e costose, che causano una vera e propria paralisi”. Che poi, secondo Bistoncini, è il motivo per cui, già oggi, la Fiom è più reattiva della Cgil alle richieste degli iscritti.

LE LOBBY COSTANO MENO

Mentre le lobby “nascono dal basso” e “costano di meno”. È il caso, per esempio, delle “social street”, ovvero le comunità di cittadini che nascono sui social network, “come Facebook”; ed è qualcosa che “già accade anche a Milano e può essere più utile per fare pressione su determinati argomenti, come neanche potrebbe esserlo andare dall’assessore o il consigliere comunali di riferimento”. Oppure strumenti come “Tripadvisor”, che consentono al cittadino di esprimere direttamente ciò che pensa di un certo ristorante. Un principio che di per sé potrebbe valere anche altrove. Per esempio nella valutazione di una legge.

COS’È CAMBIATO?

“L’accesso alla rete e la facilità di essere interconnessi hanno colmato un gap”, sostiene l’autore di “Vent’anni da sporco lobbista”. E anche i ministri oggi “twittano direttamente cosa stanno facendo”. Ciò fa sì che “l’informazione costi meno”. Al contrario, però, si sono “moltiplicate le arene dove vengono decise le policy, caratterizzate da una crescente complessità dei centri decisionali”. Al tempo stesso, “diventano più influenti gli stakeholder non istituzionali”. Tanto che “anche noi lobbisti dobbiamo valutare sempre più spesso se sia più efficiente fare pressione nei corridoi, piuttosto che andare direttamente sui new media e la stampa”. Perché talvolta “conviene questa seconda ipotesi per conseguire quello che i cittadini ci chiedono”.

L’ATTESA DELLE RIFORME

Il professor Eugenio De Marco, infine, ha messo in guardia da un pericolo che potrebbe ostacolare anche il lobbismo: ovvero la riforma costituzionale del Governo che mira a riformare anche gli istituti di democrazia diretta e partecipativa, come i referendum, ma che a suo avviso rischia di trasformarsi nell’ennesimo “scatolone vuoto”. In cui, peraltro, “di interessante ci sarebbero alcuni spunti” la cui attuazione, però, è “delegata a una legge costituzionale che a sua volta dovrebbe rimandare a una legge ordinaria e con il rischio dunque, che se ne riparli tra vent’anni”. E che all’elenco delle riforme da fare il Paese ne aggiunge un’altra.

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