Riceviamo e volentieri pubblichiamo
Nei primi di dicembre dell’anno appena trascorso la Fiom presentò lo studio Radiografia Fiat, in cui il leader dei metalmeccanici della Cgil Landini dichiarava: “siamo davanti ad un vero processo di delocalizzazione verso Polonia, Serbia e Turchia, e se questo processo è incontestabile, la promessa di Marchionne della piena occupazione negli stabilimenti italiani entro il 2018 diventa una chimera irraggiungibile” (“ll Manifesto”, 17 dicembre 2014, pag. 5). Solo qualche giorno prima, il 2 dicembre 2014, lo stesso leader della Fiom, ormai ospite fisso nel talk show della Rai “Ballarò” (sempre senza contraddittorio sindacale), disse: “Non so se vi è arrivata questa notizia, ma la Fiat in Italia non esiste più”.
Oggi, ad appena un mese di distanza, è costretto a imbarazzanti elogi fantozziani dell’Ad della Fiat, a smentite e a smentite delle smentite (il “bravissimo” a Marchionne prima dichiarato a “La Repubblica” e ritrattato il giorno dopo sul “Il Fatto Quotidiano”). Come dice in un’intervista di Alberto Brambilla a “Il Foglio” il segretario generale della Fim Cisl Marco Bentivogli, “Landini dovrebbe venerare Marchionne non tanto per la rioccupazione delle fabbriche, quanto per il successo personale riscosso abbaiandogli addosso”.
L’ACCORDO DI POMIGLIANO
A più di 4 anni dall’accordo di Pomigliano – l’accordo che mise in moto gli investimenti e fu prodromo al contratto specifico di lavoro in tutti i siti Fiat in Italia e ai relativi investimenti –l’intesa comincia a dare i suoi frutti. Eppure molti sembrano aver dimenticato cosa accadde in quei giorni. Come è noto, la prima versione di una notizia è spesso quella che rimane impressa nell’opinione pubblica, condizionando gran parte dei media nazionali e della politica che, nel caso Fiat, ha finito per dare una lettura superficiale ancorché negativa della ristrutturazione e del rilancio della “nuova Fiat”, oggi FCA (Fiat Chrysler Automotive): una delle poche aziende nazionali che – si dimentica – da un fallimento annunciato, dopo il divorzio con GM nel 2004, gravata da un debito all’epoca di circa 8 miliardi, è riuscita contro ogni pronostico, nel giro di una decina d’anni, a riconfigurarsi come player globale nella produzione di auto. Una sfida ancora in corso, i cui esiti saranno pienamente apprezzabili solo nel medio e lungo periodo.
Per questo motivo è incomprensibile, se non per una strumentale polemica politica, il fuoco di fila che ha mirato per anni a delegittimare e colpire, anche sul piano dell’immagine, la Fiat e coloro che nel sindacato e nelle istituzioni ritengono che il settore dell’Automotive continui a rappresentare un cardine della manifattura italiana, anche per le ricadute positive che esso ha sull’insieme dell’industria del nostro paese.
IL GIUDIZIO DI DELLA VALLE
Siamo di fronte a un atteggiamento masochisticamente autolesionista, impensabile – ad esempio – in un paese come la Germania, dove sindacati, imprenditori e politici sono ben attenti a difendere tanto l’immagine quanto la sostanza delle loro imprese; un gioco al “tanto peggio tanto meglio” sul quale alcuni politici, sindacalisti e giornalisti hanno fatto le loro fortune. Su un altro versante, non si spiega, se non per ragioni strumentali (magari legate a questioni di potere all’interno dei gruppi editoriali), come mai un imprenditore come Diego Della Valle, del tutto estraneo a questa vicenda, si intrometta nel dibattito esprimendo giudizi aprioristicamente negativi sull’operato di Fiat. A ciò si aggiunge che nei talk show nazionali c’è un continuo via vai di opinion leader ostili alla Fiat; tra questi – udite, udite! – si è distinto il novantenne Cesare Romiti, “resuscitato” per l’occasione, che certamente non può dare lezioni a chicchessia sulla strategia industriale di un Gruppo che, quando era da lui guidato, badava più alla finanza (con la “f” minuscola) che all’industria. Un corto circuito mediatico che i fatti stanno smontando come i tasselli di un puzzle mal riuscito.
IL FUTURO DI FIAT-CHRYSLER AUTOMOTIVE
Un fatto tuttavia è certo: Fiat-Chrysler Automotive oggi può guardare con maggiore serenità al futuro, grazie non solo alle intuizioni e scelte manageriali del suo Ad Sergio Marchionne, ma soprattutto a quei sindacati (tranne la Fiom!) che nel 2011, facendo coraggiosamente scelte non facili, sottoscrissero il contratto Fiat, al fine di consentire lo sviluppo di un piano industriale, di creare un ambiente positivo per gli investimenti e quindi mantenere gli stabilimenti e rilanciare produzione e occupazione in Italia. In questo senso le performance dello stabilimento di Pomigliano – giudicato nel 2012 la miglior fabbrica d’Europa – e le anticipazioni degli scorsi giorni sulle 1500 assunzioni nello stabilimento di Melfi, sono delle vere “buone notizie” per il nostro paese e in particolare per il Mezzogiorno, dove il lavoro industriale è tanto scarso quanto necessario per prevenire l’esodo dei giovani (massiccio in questi anni) e l’ulteriore allargamento dell’economia illegale e criminale.
Questi sono fatti, il resto è chiacchiera ideologica. Perciò ci chiediamo quando finirà da parte di alcuni importanti mass-media quella lettura, conformisticamente e spesso anche in malafede a senso unico, della vicenda Fiat, che li porta a dare voce e spazi solo alle ragioni di quel sindacato – la Fiom – che sostanzialmente fugge dalle responsabilità richieste dalla difficile fase economica e sociale, invece di trattare, mediare, e portare a casa risultati per i lavoratori, come dovrebbe essere compito precipuo – la “ragione sociale” – di un sindacato degno di questo nome.
LA VERITÀ SUGLI ACCORDI DI POMIGLIANO E MIRAFIORI
Quando potremo avere finalmente in Tv e sui giornali – come dovrebbe accadere in un normale paese democratico – un giusto e laico confronto tra idee e posizioni sindacali diverse? La verità dei fatti chiede peraltro che non “passino in cavalleria”, ma vengano rappresentate come tali le vergognose e infondate accuse fatte all’epoca degli accordi di Pomigliano e Mirafiori ai sindacati firmatari – amplificate dalla parte più faziosa e tifosa della stampa – presentati come responsabili di chissà quali violazioni della Costituzione e di chissà quali diritti inalienabili della persona: accuse infondate, che oltre tutto sono costate ai medesimi sindacati violenti attacchi alle sedi insieme a ingiurie e minacce ai loro delegati.
Al netto di ogni polemica, il Gruppo FCA ad oggi ha messo in campo nel nostro paese dal 2010 al 2014 investimenti pari a circa 4 miliardi di euro, stimolando la ricerca e creando lavoro, come ben dimostra peraltro la ricostruzione fatta da Gianni Alioti (vedi grafico) responsabile dell’Ufficio internazionale della Fim Cisl e pubblicata su “Conquiste del Lavoro” lo scorso 11 novembre.
IL PIANO QUADRIENNALE DI MARCHIONNE
Ci sono voluti quattro anni, il tempo necessario per progettare, realizzare i modelli, industrializzare le linee, creare una rete di distribuzione globale. E’ quanto ha affermato nei giorni scorsi al salone di Detroit l’Ad di FCA Sergio Marchionne, dando l’annuncio di mille nuove assunzioni nel sito lucano di Melfi. Parole che oggi sembrano scontate e ovvie rispetto a un mercato, quello dell’auto, in forte crisi negli anni passati e che oggi ricomincia a crescere. Negli Stati Uniti, FCA macina numeri da record. Eppure pochi ci hanno creduto, soprattutto coloro che continuano a guardare nel nostro paese le vicende industriali e finanziarie in maniera provinciale. Così hanno fatto buona parte della politica, certa informazione e settori del sindacato nostalgici dello scontro e dell’antagonismo.
LE SCADENZE SINDACALI
Sul piano sindacale oggi nel gruppo FCA Italia ci sono due importanti scadenze: innanzitutto il rinnovo delle RSA (Rappresentanze sindacali aziendali), una sfida che la Fiom, nonostante l’invito delle altre organizzazioni sindacali, non ha inteso accettare; la seconda, ancor più importante, è il rinnovo del contratto specifico di lavoro di 1° livello, grazie al quale sono stati possibili gli investimenti. FCA deve discutere seriamente con il sindacato su un contratto triennale che, in linea con le caratteristiche di un’azienda globale, sappia rispondere alle esigenze dei lavoratori in termini di salario, diritti e organizzazione del lavoro, perché i risultati che si stanno ottenendo in FCA dimostrano come buone e innovative relazioni industriali possano rappresentare un elemento strategico per il rilancio del settore Automotive in Italia. La Fim, insieme a una parte del sindacato italiano, ha creduto e scommesso fortemente su questa impostazione; c’è da sperare che anche FCA Italia ne abbia piena consapevolezza e si comporti di conseguenza.
STABILIMENTI FCA: FACCIAMO IL PUNTO
Allo stato attuale la situazione degli stabilimenti FCA in Italia si presenta come segue. L’ex stabilimento Alfa Romeo di Pomigliano D’Arco, oggi “Giovan Battista Vico” (giudicata miglior fabbrica d’Europa nel 2012), dopo aver chiuso per cessazione di attività nel 2008, ha riaperto i battenti nel 2010 in seguito al discusso accordo del 15 giugno 2010 siglato da Fim, Uilm, Ugl, Fismic e Quadri, ma non dalla Fiom. Il sito, grazie a un investimento di 800 milioni di euro per le linee produttive della “nuova Panda”, definite secondo il nuovo gergo FCA “butterfly”, cioè estendibili a diverse gamme di prodotti, oggi è in pieno sviluppo. Ciò rende il sito di Pomigliano tra i più avanzati d’Europa in termini tecnologici e di layout. Pomigliano ha ridato lavoro a circa 2500 lavoratori a tempo pieno dei circa 4490 che occupava prima della chiusura del 2008; altri 2000 circa sono in contratto di solidarietà. Nel 2014 nel sito campano sono state prodotte 161mila “nuove Panda” con una crescita del 7% rispetto al 2013.
Nello stabilimento lucano SATA si realizzano due prodotti globali: la prima auto con marchio Jeep in Italia, la Renegade, e la 500X. La produzioneimpiegherà circa 7000 dipendenti, dei quali 1000 sono nuovi assunti (annunciati dall’Ad Marchionne al salone dell’auto di Detroit) e 500 trasferiti qui da altri siti produttivi. Un risultato incredibile se si pensa a quello che alcuni scrivevano solo un anno fa sul destino del sito lucano. Un miracolo, anche qui reso possibile grazie agli investimenti e gli accordi sottoscritti da tutte le sigle sindacali, tranne la Fiom.
Alla SEVEL in Val di Sangro (Abruzzo), joint venture tra FCA e PSA, si producono i furgoni Ducato per FCA e Boxer (Peugeot) e Jumper (Citroën); nel 2013 FCA ha investito grazie agli accordi sindacali sottoscritti da tutti, tranne che dalla Fiom, 700 milioni di euro. Lo stabilimento dà lavoro a circa 6200 dipendenti e ha chiuso il 2014 con il record di 230 mila unità prodotte, stabilendo il terzo record produttivo di sempre; per quest’anno i dati della produzione danno il trend produttivo in crescita.
Cassino, lo stabilimento laziale dove si produce la Giulietta e dove oggi è in cassa integrazione più della metà dei circa 4000 dipendenti, sarà la base operativa del rilancio Alfa (su cui si prevedono 8 nuovi modelli entro il 2018). Oggi il sito è un cantiere aperto, si lavora all’ammodernamento delle nuove linee produttive (un investimento di circa 1 miliardo di euro) che vedrà a giugno di quest’anno l’avvio della produzione della nuova vettura a marchio Alfa (sarà presentata il 27 giugno al museo Alfa di Arese).
A Grugliasco, l’area industriale dell’ex stabilimento Bertone, dichiarata in stato di insolvenza nel 2008, venne rilevata dalla Fiat con un investimento di circa 18 milioni di euro; ad oggi sono stati investiti circa 1 miliardo di euro per il rilancio del sito e la progettazione dei nuovi modelli Maserati. Un impegno rilevante, che traguarda l’obiettivo di produrre circa 50 mila autovetture nel 2016 (nel 2012 erano circa 7000) rivolte ad un mercato globale, in particolare agli Stati Uniti e alla Cina, dando lavoro attualmente a circa 2000 dipendenti della ex-Bertone. Anche in questo stabilimento, dove oggi si producono la Quattroporte e la Ghibli, l’apertura agli investimenti è stata possibile grazie alla firma di un accordo sindacale fotocopia di quello di Pomigliano, approvato con un referendum nonostante la maggioranza dei lavoratori fosse saldamente in mano alla Fiom. In questo caso va rilevato che le stesse Rsu Fiom, smentendo la linea nazionale, hanno firmato l’intesa. Oggi Grugliasco è una realtà in crescita, in termini di lavoro, qualità e prodotti, destinata alla produzione secondo i piani FCA dell’alta gamma del gruppo, insieme a Mirafiori, stabilimento storico della Fiat, dove attualmente si lavora pochissime settimane al mese sulla linea dell’Alfa MiTO, ma dove si sta operando da mesi all’ammodernamento delle linee produttive; sono stati investiti circa 900 milioni per il sito, che insieme a quello di Grugliasco rappresenterà il “polo del lusso” FCA. E’ prevista entro il 2016 la produzione dei nuovi modelli di Suv a marchio Maserati e Alfa.
L’indotto. Ovviamente a beneficiare degli investimenti e della ripresa produttiva nel settore auto è tutto l’indotto legato direttamente e indirettamente all’auto, dagli stabilimenti di Pratola Serra di Avellino, alla VM di Ferrara, allo stabilimento di Termoli e Foggia, alle Meccaniche di Mirafiori. Inoltre, per quanto riguarda la produzione di cambi e motori e la componentistica, sono coinvolte tutte le aziende da Magneti Marelli a PCMA, Denso ecc.
Veicoli commerciali, trattori e movimento terra. A questi poi si aggiungono tutti i siti produttivi di CNHI: a Brescia, dove viene prodotto il camion medio Eurocargo, a Susegana, dove viene prodotto l’Iveco Daily, a Jesi dove si producono macchine movimento terra e trattori agricoli, anche se in questo settore purtroppo le previsioni per il 2015 sono al ribasso, ma per ragioni di concorrenza interna: prodotti molto simili sono realizzati infatti nel sito turco FCA a costi molto più contenuti.
Ferrari. Discorso a parte va poi fatto per i marchi del lusso, la Ferrari, nello stabilimento modenese, dove lavorano circa 2900 dipendenti; il marchio globale, già prima dell’intesa con Chrysler, ha prodotto nel 2014 oltre 7000 vetture con fatturato e margine operativo in crescita grazie alla vendita di 20 auto del modello “Laferrari”; per il 2015 il trend è ancora in crescita, mentre sempre a Modena lo stabilimento Maserati, dove si producono la Granturismo e la Grancabrio insieme all’Alfa Romeo 4C, quest’anno ha prodotto circa 6000 vetture e per il 2015 si prospetta un cambio di modello che sostituisca le ormai vecchie Granturismo e Grancabrio.