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Che cos’è e cosa studia l’Intelligence economica

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Mancano poco più di due settimane al lancio del primo corso di formazione di “Intelligence economica” rivolto ai responsabili delle relazioni esterne e degli affari istituzionali delle imprese (Scopri come nasce l’iniziativa nelle parole del fondatore di Formiche Paolo Messa), diretto dall’ex prefetto Adriano Soi (leggi l’intervista a Soi su Intelligence economica e cyber security) e organizzato da Formiche. Il tema dell’Intelligence economica è stato al centro di un volume scritto dai professori Carlo Jean e Paolo Savona di cui seguono le conclusioni.

L’intelligence economica è una disciplina di studio dalle molte ambizioni, che ha tratto impulso dagli sviluppi degli scambi globali a seguito della fine della divisione politica in blocchi del Pianeta, dei progressi nelle tecnologie informatiche e delle telecomunicazioni, nonché della crescente presenza degli Stati nelle vicende economiche.

Nata come costola dell’intelligence pubblica, ossia dei Servizi di informazione per la sicurezza degli Stati, si è proiettata sul mondo degli affari privati, fagocitando il corpo da cui ha attinto e continua ad attingere linfa vitale, soprattutto in materia di tecniche di produzione e trattamento delle informazioni e, anche se in minor misura, di definizione e di attuazione delle strategie di azione. A seguito degli sviluppi teorici e delle applicazioni pratiche propiziati da studiosi e da grandi società di consulenza organizzativa e strategica, la direzione di causa ed effetto si è invertita e, attualmente, l’intelligence economica pubblica tende a mutuare da quella privata i canoni di raccolta e interpretazione delle informazioni e di scelta delle strategie. Ma è costretta a vivere con essa in simbiosi, dato che paesi leader, come gli Stati Uniti e la Francia, ma in diversa misura anche altri, hanno incluso tra gli obiettivi della sicurezza nazionale la tutela delle proprie imprese. La spinta verso l’allontanamento dello Stato dal mercato, avviato a cavallo degli anni ottanta del secolo scorso dal Premier inglese Mrs. Thatcher e dal Presidente statunitense Sig. Reagan, si è rapidamente esaurita, ammesso che esso abbia trovato effettiva attuazione, la qualcosa non trova conferma osservando l’andamento del peso dei bilanci pubblici sui PIL nazionali.

La competizione globale è sempre più competizione tra politiche economiche piuttosto che tra capacità delle imprese a competere, come si legge sui giornali o nei libri di testo. In suo nome viene chiesto di calmierare i comportamenti del mondo del lavoro e l’entità delle spese di welfare invece di concordare internazionalmente che la competizione globale avviene sotto vincolo sociale. I temi dello sviluppo produttivo sovrastano quelli del benessere sociale, sulla base dell’ipotesi che il secondo dipenda dal primo. Il capitalismo vincente sul socialismo reale non medita sul significato delle vicende che lo hanno pesantemente interessato, inclusa l’importanza dell’avere posto il lavoro al centro del suo interesse, almeno così appariva, a pari rilevanza con il capitale. Oggi il capitalismo globale tenta di respingere nel ghetto il lavoro, assecondato in questa azione dal comunismo sopravvissuto alla crisi russa, e ha costretto gli Stati a competere in sua vece: da organi di controllo e tutela essi sono diventati attori economici. Tutto ciò non è certo colpa dell’intelligence economica, ma essa è certamente espressione di questo stato di cose.

Le innovazioni tecnologiche, la vera driving force dello sviluppo globale, sono state in passato frutto dell’applicazione civile delle scoperte per usi militari, per raggiungere le quali vennero investite ingenti risorse pubbliche. Oggi la situazione appare invertita o quanto meno, nei settori della frontiera tecnologica più avanzata, l’iniziativa è passata nelle mani dei privati con il sostegno statale, a conferma dei motivi che hanno sollecitato le versioni più estreme dell’intelligence economica che includono gli interessi privati tra quelli collettivi .
Protagoniste dell’eccezionale crescita dell’economia sono sempre più le informazioni. Nel 490 a.C. un ‘araldo ateniese’, ricordato ancor oggi come ‘maratoneta’, percorse di corsa i 37 km che separavano allora Maratona da Atene (i 42,195 km della maratona olimpica è una misura moderna della stessa distanza) per evitare che gli abitanti di Atene, influenzati da informazioni distorte sull’andamento del conflitto con i persiani guidati da Dario I, presi dallo sconforto si arrendessero, proprio mentre le armate cittadine risultavano vincenti. Nel 1255 Nicolò Polo, padre di Marco, con il fratello Matteo impiegarono circa 8 anni per raggiungere la Cina, da cui ripartirono nel 1266, carichi di ricchezze e di informazioni sulla via della seta e altro, dopo aver conquistato la fiducia dell’imperatore Kubilai Kahn. Nel 1271 Nicolò ripartì per la Cina portando con se il figlio Marco, diciassettenne, con una lettera del Papa Gregorio X diretta all’imperatore cinese; la risposta fu affidata a Marco Polo, che mosse sulla via del ritorno 17 anni dopo, quando il Papa era già scomparso. Suscitarono invidia e i loro racconti non furono creduti, costringendoli ad attraversare brutti momenti con i potenti di allora.

Nella prima guerra mondiale la supremazia sui mari fu garantita dal paese che poté beneficiare del radar, mentre la fine della seconda guerra mondiale fu possibile solo quando fu messa a punto la bomba atomica. A conferma dell’importanza dell’informazione fin da epoca a noi lontana, dopo che l’Enola Gay, il bombardiere B-29 Superfortress, sganciò il 6 agosto 1945 la bomba little boy su Hiroshima, si seppe che il Giappone aveva chiesto di arrendersi tramite il Governo svizzero; ma Truman decise egualmente di impiegarla per convincere Stalin a essere accondiscendente nella sistemazione postbellica dell’assetto istituzionale globale. E’ stata una tragica manifestazione di infowar. Come pure si è saputo che la seconda bomba, quella al plutonio, ricordata come fat man, sganciata tre giorni dopo su Nagasaki serviva per consentire a Fermi di ottenere informazioni preziose sulla validità della sua ‘scoperta’. La scienza non si ferma di fronte a niente. La sola informazione che la superiorità militare degli USA era divenuta irreversibile, insieme all’annuncio che Reagan intendeva attuare lo SDI-Strategic Defense Initiative, è invece bastata all’URSS per invertire la rotta delle sue relazioni internazionali, aprendo la strada alla fine della guerra fredda e, ma non l’avevano previsto, del suo impero.

Questo è il motivo per cui l’intelligence economica dedica gran parte del suo impegno a studiare il ‘ciclo dell’informazione’ nelle sue quattro fasi o anche sei, se si vuole introdurre preziose distinzioni: i. raccolta e selezione dei dati; ii. loro protezione; iii. definizione di scenari alternativi; iv. individuazione delle possibili alternative strategiche; v. scelta di una strategia e monitoraggio dell’attuazione e vi. controllo del percorso di attuazione e valutazione degli effetti delle scelte effettuate.
Contrariamente ai contenuti assegnati al ciclo delle informazioni dalla letteratura prevalente, questo lavoro ritiene che vi sia una fase propedeutica e distinta da tutte le altre: quella della formulazione delle richieste da parte dell’utilizzatore del prodotto dell’attività di intelligence economica, per accertare non solo quali informazioni raccogliere nell’enorme massa di quelle disponibili, ma anche, sopratutto per la componente pubblica, per decidere se si debba ricorrere a fonti grigie o nere, ossia informazioni bianche (non open); come pure se il ciclo dell’informazione si debba orientare verso l’elaborazione di scenari alternativi, tra i quali scegliere quello o quelli di base per le scelte strategiche, oppure rispondere a situazioni di emergenza, come attacchi comunicativi, cyber attacchi o unfair (o sharp) practice contro imprese nazionali, o contribuire a indagini investigative.

Ciascuna fase del ciclo comporta il ricorso alle conoscenze di altre materie: l’informatica per la raccolta, la selezione e la protezione dei dati; l’analisi comportamentale, l’econometria basata sulle probabilità oggettive (frequenze) o soggettive (bayesiane-definettiane) per la definizione degli scenari alternativi; la teoria delle scelte in condizioni di incertezza per le decisioni operative; l’auditing per il monitoraggio dell’attuazione e la valutazione degli effetti.
Questo coinvolgimento dei saperi di altre discipline ha fatto ritenere che l’intelligence economica potesse sostituirsi con miglior fortuna a tutte le altre branche dell’economia e della politica economica, nonché della business economics. In questo lavoro non è stata respinta a priori questa possibilità, ma si è sottolineato che molto difficilmente si può pervenire a una teoria dell’azione umana che comprenda ogni sua possibile dimensione: l’uomo è un soggetto molto complesso e solo studiando in profondità ogni lato del problema – che richiede profondità di conoscenze professionali, ossia specializzazione, nella vastità della produzione scientifica in ogni materia – si può sperare di ricostruire il puzzle dei modi di espressione della sua vita.

Abbiamo però sottolineato che in ogni caso i contenuti delle discipline economiche elaborati in passato debbono essere riesaminati alla luce del processo di globalizzazione e delle innovazioni tecnologiche già in fase avanzata, non solo nel più tradizionale settore dell’Information and Communication Technology, ma anche nei settori di maggiore sviluppo futuro, come ad esempio quelli bio- e nano-tecnologici. Per la politica economica è necessario muovere verso la definizione di una geopolitica economica che metta in evidenza gli effetti primari sullo sviluppo globale delle scelte nazionali e quelli di ritorno sullo sviluppo nazionale. In questo riesame, l’intelligence economica svolge un ruolo di strumento molto potente: il ciclo dell’informazione rappresenta sempre più la base delle scelte di ogni sviluppo.
Siffatte riflessioni sono mosse dalla costatazione che l’esperienza del passato tende a giocare tranelli alle scelte riguardanti il futuro. Questo è il passaggio più delicato della tramutazione delle informazioni, intrise di passato, in scelte per il futuro. Fantasia e intuito, quello che Keynes definì gli animal spirit, sono ingredienti indispensabili del successo imprenditoriale. Le grandi imprese – e lo Stato è oggi tra esse la più grande – perdono questo vantaggio e debbono sempre più poggiare su metodi di scelta standardizzati, imposti non solo dalle necessità organizzative, ma dalla normativa di protezione del consumatore e del risparmiatore, come pure da quella di tutela dell’ambiente e di lotta alla criminalità ordinaria e politica. A ogni evento, la richiesta di nuove leggi da parte dei cittadini diviene pressante ignari che così si restringe il loro spazio di libertà e di responsabilità. Questa è un’ulteriore conferma che la competizione è ormai tra le politiche degli Stati e non le capacità delle imprese o degli individui. Se si fosse convinti di ciò, dovremmo pervenire a un IQ (Intelligence Quotient) di sistema per capire se i diversi paesi si indirizzeranno verso lo sviluppo o il declino.

Vi è comunque un ultimo punto da non trascurare: l’imprevisto. Il non prevedibile domina gli eventi economici e il mondo se n’è accorto dopo la crisi finanziaria 2007-2009, nonostante molti di noi abbiamo rivendicato d’avere avuto capacità previsive di un siffatto sbocco, per ragionamento o per semplice fiuto. A questo proposito si è affermata in letteratura la distinzione tra rischio e incertezza; al primo viene attribuita la caratteristica di poter essere in un qualche modo valutato (a tal fine di tecniche se ne conoscono tante, soprattutto per le scelte di investimento, ivi incluse quelle delle banche sul merito di credito), mentre questa disponibilità non è presente per valutare l’incertezza. Il più abile nel descrivere in modo quasi paradossale l’imprevisto è stato Nassin Nicholas Taleb, che ha elaborato il ‘paradigma del cigno nero’, sottolineando che la nostra vita e, ovviamente, quella dell’economia è governata dall’improbabile, poggiando la sua tesi sull’estensione del convincimento che tutti i cigni sono bianchi, finché in Australia non fu scoperto un cigno nero . Questa costatazione condurrebbe al nichilismo delle scelte, la qualcosa non è neanche pensabile possa accadere nel mondo dell’economia (come peraltro in qualsiasi mondo vivente) La coscienza dell’esistenza dell’improbabile deve solo frenare l’ampiezza decisionale degli animal spirit o l’irresponsabilità degli Stati nell’uso delle risorse dei cittadini.

In conclusione, la nostra tesi è che lo studio del ciclo dell’informazione sollecitato dagli studiosi dell’Intelligence economica è un aspetto dell’economia politica molto importante e promettente, non meno di quanto lo sia la geopolitica economica, ossia la reinterpretazione dei saperi di politica economica accumulati nel passato alla luce del processo di globalizzazione e degli sviluppi dell’informatica, delle telecomunicazioni e delle tecnologie in fieri. All’interno della nuova disciplina gli sviluppi dell’intelligence privata vanno al di là di quella pubblica, toccando l’eterno irrisolto problema del ruolo dello Stato e di quello della libertà d’iniziativa economica, comportando uno scambio reciproco di conoscenze e una simbiosi tra i compiti.
Come in ogni attività che riguarda l’uomo, la ricerca di base e quella applicata sono molto importanti e il loro affinamento un dovere degli studiosi, come lo è la conoscenza dei progressi scientifici da parte dei manager e dei politici. Le tecniche quindi non bastano e, come ha concluso la ricerca promossa dalla Commissione Europea, “people make the difference”: è l’uomo a fare la differenza o, se si preferisce, quelli tra essi dotati di maggiore coraggio e visione strategica . I dettati dell’intelligence economica sono importanti, ma i leader che li applicano lo sono di più: è l’uomo che fa la differenza.


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