Grazie all’autorizzazione dell’autore pubblichiamo un commento dello scrittore e giornalista israeliano Yossi Melman uscito sul Jerusalem Post
Negli euforici anni tra la Guerra dei Sei Giorni nel 1967 e la guerra dello Yom Kippur del 1973, i leader di Israele, con a capo fra loro il ministro della difesa Moshe Dayan, avevano la tendenza a vantarsi dicendo che “la nostra situazione non è mai stata migliore“. In un lasso di tempo relativamente breve, la realtà gli ha voltato le spalle e quella illusione è morta con il prezzo doloroso di circa 2.700 soldati caduti.
Da allora, quella frase è stata evitata.
Tuttavia, non vi è una definizione migliore per incapsulare la situazione militare di Israele nel 2014. Secondo le maggior parte delle stime, delle valutazioni e delle analisi da parte di esperti e di tutti coloro capaci di visualizzare la realtà correttamente – senza pregiudizi personali, politici o ideologici – la situazione militare di Israele è migliorata nell’anno passato e la sua soglia qualitativa nei confronti dei suoi nemici è accresciuta.
In tutte le situazioni, Israele è la più forte potenza militare, non solo in Medio Oriente, ma in tutta la regione che si estende dall’Oceano Indiano al Mar Mediterraneo.
Non c’è un solo stato o coalizione di stati che abbia la capacità militare di minacciare l’esistenza di Israele o sconfiggerlo sul campo di battaglia.
A Est, i due grandi eserciti che hanno composto questo fronte in passato, la Siria e l’Iraq, che prima erano considerate gravi minacce da parte di Israele, si sono completamente ritirate. L’Iraq oggi è un Paese che si sta deteriorando in tre o quattro parti. Nonostante le decine di miliardi di dollari investiti dagli Stati Uniti nell’esercito di Baghdad, questo è crollato come un castello di carte nelle battaglie del passato semestre contro Stato islamico.
In Siria, la guerra civile continua e marzo 2015 segnerà quattro anni sanguinosi di conflitto senza che se ne intraveda la fine.
La Siria è uno stato completamente smantellato. Il regime di Bashar Assad controlla circa un quarto del territorio del Paese, per lo più di Damasco e dintorni, la costa, poche altre città e le strade che le collegano. L’esercito di Assad ha subito pesanti perdite nelle battaglie con i vari gruppi ribelli, sia sul campo di battaglia sia attraverso la diserzione di decine di migliaia di soldati, tra i quali alti ufficiali.
Guidata dagli americani, la comunità internazionale ha sottratto all’esercito del regime le sue armi chimiche, che sono state sviluppate e prodotte al fine di rispondere alla capacità nucleare attribuita a Israele. Anche se il regime siriano mantiene una certa capacità chimica “residua” con il gas Sarin, come stimato dalla comunità d’intelligence di Israele, ciò non rappresenta più una minaccia reale. Ciò è dimostrato dal fatto che l’establishment della difesa ha stoppato la produzione di maschere antigas e distribuirle ai cittadini.
Nel Nord, Hezbollah è stato notevolmente indebolito nel corso dell’ultimo anno. Il gruppo è dentro fino al collo nella guerra civile siriana, nella quale riveste il ruolo di ala militare iraniana e punta di diamante in difesa del regime di Damasco.
Tuttavia, il prezzo che Hezbollah sta pagando per diventare sempre di più un proxy iraniano e sempre meno un gruppo sciita libanese è molto pesante.
Nella guerra siriana, Hezbollah ha perso centinaia, se non più di un migliaio dei suoi migliori combattenti. Tra questi ci sono comandanti senior con larga esperienza di battaglia. Vengono sepolti nel cuore della notte, al fine di nascondere la brutta realtà ai sostenitori del gruppo. Il morale dei componenti del gruppo è basso. Molti in Libano, soprattutto all’interno della comunità sciita a cui il gruppo fa affidamento, si pongono la domanda chiave: perché i giovani libanesi hanno bisogno di sacrificare la propria vita per un regime straniero? In un certo modo, la Siria è il Vietnam di Hezbollah.
Allo stesso tempo, la guerra in Siria si sta spostando anche in Libano. Lo Stato islamico e le organizzazioni estremiste sunnite, come Jabat al-Nusra, il ramo siriano di al-Qaeda, stanno trasferendo la guerra in territorio libanese.
Stanno facendo esplodere autobombe nel cuore delle roccaforti sciite, tra cui Dahia, la “Kiriya” di Hezbollah a Beirut e pianificando agguati nei confronti dei combattenti del gruppo sciita, costringendo Hezbollah a mettersi al riparo e difendere la propria casa.
A Sud si è verificato forse il più interessante e importante sviluppo del 2014. Israele ed Egitto hanno sviluppato una cooperazione militare, di intelligence, sicurezza, e operazioni cooperative come non si era mai visto prima, nemmeno lontanamente simili ai contatti segreti tra i Paesi quando Hosni Mubarak era presidente e l’ex ministro e capo dell’intelligence, il generale Omar Suleiman, era di casa presso la sede del Mossad Glilot. Israele ed Egitto, sotto la guida del generale Abdel Fatteh al-Sisi, vedono allo stesso modo tutto ciò che è collegato a Gaza, Hamas, e al terrorismo nel Sinai.
Il regime del Cairo considera Hamas come un ramo della Fratellanza Musulmana, che odia con tutta la sua anima, e considera il gruppo come un nemico che deve umiliare, sottomettere, e isolare. L’Egitto accusa Hamas del crescente terrorismo in Sinai e di aiutare Ansar al-Bayit Maqdis, filiale locale di al-Qaeda, che ha recentemente giurato fedeltà allo Stato islamico.
Esercito e forze di sicurezza egiziane, con un forte sostegno da Israele – solo un po’ del quale viene reso pubblico – stanno conducendo una guerra senza compromessi per la distruzione dell’organizzazione terroristica in Sinai. L’anno scorso hanno prodotto risultati importanti, ma hanno anche subito pesanti perdite. La guerra al terrorismo nel Sinai continuerà nel 2015.
La cooperazione e l’intesa tra Israele ed Egitto sono stati osservati la scorsa estate nella guerra contro Hamas a Gaza. L’IDF sferrò un colpo doloroso per Hamas, un elemento che ha contribuito alla forza militare di Israele. Hamas, nel 2015, non è solo un’altra organizzazione terroristica come il governo israeliano e l’IDF la chiamano.
Si tratta di un regime che controlla un territorio e organizza le sue forze, come un esercito semi-regolare.
È un mix tra un’organizzazione di guerriglieri e un esercito vero e proprio. Ma è un esercito indebolito, che ha perso due terzi delle sue capacità di fuoco con i razzi (circa 6mila razzi sono stati distrutti o lanciati), che ha visto quasi tutti i suoi tunnel di attacco in Israele, che servivano come strumento strategico in guerra, scoperti e distrutti dall’alto, per detonazione, o inondati da scarichi fognari.
Hamas sta cercando di riabilitare la sua potenza militare e di uscire dal blocco nel quale è caduto, ingoiando il suo orgoglio e strisciando tra le braccia dell’Iran, che non si è affrettato a prendere di nuovo nel suo seno.
Hamas è isolato a livello internazionale, soggetto a blocchi navali e terrestri da Israele e dall’Egitto, che lo stanno soffocando con una presa forte, e sta anche gradualmente perdendo la sua principale fonte di sostegno, il Qatar, che recentemente ha cercato di fare la pace con il regime egiziano .
Militarmente, Israele è sfidata, almeno potenzialmente, da tre elementi: l’Islam radicale, Hezbollah e l’Iran.
I gruppi estremisti terroristici islamici sono in prossimità delle frontiere di Israele. Jabat al-Nusra, ramo siriano di al-Qaeda, controlla quasi tutta la striscia di confine dalla Giordania al Monte Hermon nelle alture del Golan. Ansar al-Bayit Maqdis è attivo nel Sinai, non lontano dal confine di Israele, e lo Stato islamico sta cercando, senza successo, per ora, di infiltrarsi in Giordania. Tutte queste sono minacce, ma fino ad ora non ci sono segni che questi gruppi terroristici mirino ad Israele, mentre il loro interesse è ad agire contro gli Stati in cui si trovano attualmente: Siria ed Egitto.
Nonostante stia diventando più debole a causa della sua partecipazione in Siria, Hezbollah è ancora considerato una seria potenza militare. Il gruppo ha decine di migliaia di missili capaci di raggiungere quasi ogni punto in Israele, tra cui aeroporti, il reattore nucleare di Dimona, basi militari, e centrali elettriche.
I combattenti di Hezbollah stanno anche guadagnando esperienza sui campi di battaglia in Siria, e ciò darà loro migliori capacità militari in caso di conflitto con Israele. Tuttavia, la deterrenza israeliana che esiste dalla seconda guerra del Libano, è ancora valida. Hezbollah non vuole la guerra con Israele.
La seconda minaccia per Israele proviene dall’Iran. Ha centinaia di missili Shihab-3, che possono colpire qualsiasi obiettivo in Israele. L’Iran è protettore di Hezbollah. Negli ultimi mesi, i leader di Hamas, guidati da Khaled Mashaal, hanno fatto uno sforzo per fare la pace con Teheran per ottenere di nuovo gli aiuti finanziari e armi, anche se ciò significa che saranno umiliati e il loro status sarà danneggiato. Ma non hanno scelta. L’Iran, tuttavia, che sta trovando difficoltà a perdonare Hamas per la sua slealtà durante lo scoppio della guerra civile siriana, non ha ancora risposto alle suppliche del gruppo.
Agli occhi del governo Netanyahu, l’Iran, che sta cercando di ottenere un’arma nucleare, è una minaccia esistenziale per Israele. Ci sono esperti di alto livello negli ambienti della difesa che credono diversamente: l’Iran non sarebbe davvero una minaccia esistenziale per Israele, ma è la leadership, soprattutto Benjamin Netanyahu, a fare dell’Iran una minaccia per ragioni di politica interna.
L’Iran è già uno stato sulla soglia della capacità nucleare, sarebbe questione di mesi o di un anno avere la possibilità di costruire la sua prima bomba.
Se l’Iran avesse voluto, l’avrebbe già potuta costruire.
Tuttavia, fino ad ora, l’Iran non è interessato a costruire un ordigno nucleare, principalmente a causa della crisi economica che sta affrontando a causa delle sanzioni occidentali e delle Nazioni Unite, e anche in virtù del calo del prezzo del petrolio, che è la sua principale fonte di reddito.
I primi mesi del 2015 saranno focalizzati sui colloqui sul nucleare tra il gruppo di potenze mondiali 5+1 e l’Iran per raggiungere un accordo che ponga fine alla crisi nucleare, perdurata negli ultimi nove anni. Se si raggiungesse un accordo e l’Iran acconsentisse a ispezioni accurate e a limitazioni per un certo numero di anni della sua capacità di arricchire l’uranio, probabilmente ciò sarebbe lo sviluppo più interessante sulla scena internazionale nel prossimo anno.
Se Washington rinnoverà i rapporti con Teheran, le relazioni estere e la politica di sicurezza di Netanyahu – costruite sul gonfiare la minaccia iraniana, spaventare i cittadini israeliani, e abusare della memoria della Shoah – saranno rese inutile.
Ma non vi è ancora alcuna garanzia che sarà raggiunto un tale accordo. La palla è nel campo del leader supremo ayatollah Ali Khamenei, che ha il potere di decidere di compromesso mettendo da parte l'”orgoglio nazionale”, e in tal modo salvare il suo Paese dalla crisi economica e dall’isolamento.
L’indiscussa superiorità militare di Israele deriva dal degrado degli stati nel mondo arabo (Libia, Yemen, Siria e Iraq), dalla minaccia islamista radicale ai regimi arabi e soprattutto dai suoi costanti sforzi per conservare il suo vantaggio tecnologico e scientifico sugli avversari regionali.
Questo vantaggio qualitativo è stato ottenuto grazie all’alleanza strategica con gli Stati Uniti, ma l’anno scorso ci sono state crepe in questa alleanza.
Vero è che le relazioni e la cooperazione in materia di sicurezza e di intelligence a livello operativo di entrambi gli Stati sono stati conservate e persino migliorate. Ma l’approccio conflittuale di Netanyahu al presidente Barack Obama e al suo governo, così come gli insulti pronunciati dal ministro della Difesa Moshe Ya’alon (di cui poi si è scusato a metà), stanno danneggiando Israele nel suo asset più importante: gli intimi rapporti con gli Stati Uniti.
Come risultato delle politiche di Netanyahu-Ya’alon (ironicamente, il ministro degli Esteri Avigdor Liberman ha mostrato un approccio serio e responsabile in materia ed è parso come un custode), Israele sta incontrando difficoltà a sfruttare il suo vantaggio militare in risultati strategici che coniughino capacità militare con la politica estera e status internazionale.
Strategicamente, Israele si è indebolito nel 2014 a causa del deterioramento delle relazioni con gli Stati Uniti e, di conseguenza, e forse anche in misura maggiore, con gli Stati europei. Questo deterioramento deriva in primo luogo dalla mancanza di volontà di far avanzare il processo di pace con l’Autorità palestinese e dalla espansione degli insediamenti in Cisgiordania, al punto che, presto, ogni possibilità di un accordo che includa l’evacuazione dagli insediamenti e il ritiro dai territori in cambio di misure di sicurezza e la fine del conflitto sarà vana.
A questo proposito, la fine del 2014 ha visto la rottura dell’argine: gli Stati europei, tra cui gli amici tradizionali di Israele, come la Francia, sono disposti a riconoscere uno Stato palestinese e non hanno paura di essere accusati di avere un approccio anti-israeliano o anti-semita.
La questione palestinese resta il problema numero uno di Israele e costituirà anche una sfida importante, forse quella esistenziale, nel 2015. Senza la svolta di un accordo diplomatico, uno dei due scenari è probabile che si verifichi – o forse tutti e due insieme: una rivolta popolare palestinese in Cisgiordania, i cui germogli li abbiamo già visti nel corso dell’anno appena concluso; o la caduta di Israele in una situazione che sarà simile al precedente regime dell’apartheid in Sud Africa. Questo significherebbe l’intensificazione dell’isolamento internazionale di Israele, forse fino al punto di sanzioni punitive, senza che gli Stati Uniti arrivino in suo soccorso con l’applicazione del veto.
Clicca qui per leggere l’analisi in inglese sul sito del Jerusalem Post
Yossi Melman è uno scrittore e giornalista israeliano, curatore assieme al collega Dan Raviv del blog Israelspy.com e autore del libro “Spies against Armageddon: inside Israel’s secret wars”