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Come cambierà l’Ugl

Le giovani generazioni e i nativi digitali sembrano non mostrare alcun interesse per il sindacato. Le ragioni che sono dietro questo distacco sono il tema fondamentale su cui le organizzazioni sindacali si stanno arrovellando per garantire un futuro alla rappresentanza del mondo del lavoro. Senza giovani il sindacato nei prossimi anni è destinato al declino. Il neo segretario dell’UGL, Paolo Capone, ha iniziato il suo mandato con questa forte consapevolezza prospettando una nuova UGL capace di avvicinare i giovani al sindacato puntando su una strategia digitale e di comunicazione innovativa.

Ex sottoufficiale paracadutista del Battaglione San Marco con il quale nel 1982 ha partecipato alla missione “Libano2” a Beirut, Paolo Capone, 53 anni, ha una lunga carriera sindacale alle spalle. Dopo i primi passi nel settore del Credito, diventa responsabile della formazione dei quadri sindacali dell’UGL e nel 2009 viene eletto segretario generale dell’UGL Sanità. Dal 20 ottobre 2014 è alla guida dell’UGL. Ecco come vuol cambiare il sindacato.

Il rapporto tra giovani generazioni e sindacato è debolissimo, quasi inesistente in certi ambiti. Esiste una frattura profonda nella rappresentanza sindacale dei giovani, nonostante i tassi di sindacalizzazione in Italia siano ancora tra i più alti d’Europa. Qual è la sua spiegazione?

Partirei da due dati fondamentali. La disoccupazione giovanile, che da noi ha raggiunto livelli al limite della tollerabilità, e l’instabilità occupazionale e contrattuale. Ci sono pochi giovani nel mondo del lavoro e la maggior parte di quelli che lavorano lo fanno attraverso forme contrattuali non stabili. Penso alle false partite Iva e alle finte collaborazioni, ma anche ai contratti temporanei che sono prevalenti nella fase d’ingresso al lavoro. Questi due fattori congiunti, oggettivamente, creano una situazione di “debolezza” del lavoratore che non stimola l’iscrizione al sindacato. Se guardo al mio caso personale, mi sono iscritto al sindacato solo dopo i canonici tre mesi di prova e avere un contratto a tempo indeterminato mi ha sicuramente agevolato. E il Jobs Act di Renzi, nella parte relativa al nuovo contratto a tutele crescenti accentua questa debolezza del lavoratore facendoci credere che la facilità di licenziamento faciliterebbe l’occupazione. Una favola alla quale non credono nemmeno i bambini. Oltre a ragioni di tipo oggettivo, non nascondo che ci sono anche evidenti responsabilità soggettive del sindacato nel rapporto con le giovani generazioni in un contesto più ampio di diffidenza e conflittualità generazionale.

Un elemento che in parte può aiutare a capire la frattura è anche il cambio di “mentalità”. In altre parole, tra le nuove generazioni prevale una sorta di ricerca individuale e autonoma di soluzioni alle problematiche lavorative e professionali in evidente contrasto con la dimensione collettiva, tradizionale, che era radicata nel mondo del lavoro “fordista”. Si riconosce in questa lettura? Se è così, in che modo è possibile rappresentare i nuovi lavoratori individualisti?

Condivido l’analisi. E’ vero che prevale la dimensione individualista a scapito delle forme di aggregazione di tipo “tradizionale”. Allargando lo sguardo riscontro un deficit di rappresentanza delle giovani generazioni anche nella politica. C’è un allontanamento dalle strutture intermedie della società, con un indebolimento dell’obiettivo comune. C’è anche, però, un deficit di elaborazione e d’iniziativa da parte delle strutture deputate alla rappresentanza, compreso quella del lavoro. I sindacati, che nascono in un contesto produttivo, sociale e storico completamente diverso da quello odierno, hanno l’obbligo di “adeguarsi” al cambiamento e di non rimanere simili a se stessi. I giovani sono figli del loro tempo e il nostro sforzo deve essere quello di cogliere e metabolizzare le novità. Senza, tuttavia, cedere su alcuni principi di fondo. Non condivido la deriva individualistica. Pensare di arrivare a smontare la contrattualistica collettiva per sposare una soluzione di tipo americano e tipica dei Paesi iperliberisti in cui il centro è il singolo lavoratore, è deleterio e profondamente rischioso. Soprattutto oggi, in cui il lavoro autonomo e i freelance sono in costante crescita e la parcellizzazione del lavoro aumenta le necessità della tutela, la concezione collettiva e organizzata del lavoratore rimane l’unica via possibile.

Il sindacato ha delle responsabilità dirette nella crisi di rappresentanza dei giovani?

Abbiamo le nostre colpe. Ci abbiamo messo del nostro se oggi ci sono così tante difficoltà nel rappresentare i giovani. Non è il mondo del lavoro che deve adeguarsi ai sindacati, ma sono i sindacati che devono modellare se stessi in funzione del mondo che cambia. Abbiamo ancora in essere modelli contrattuali che nascono negli Anni ‘50 in cui il sistema produttivo era imperniato sulla fabbrica. Oggi, quel tipo di attività produttiva non esiste più nemmeno nelle fabbriche moderne. Dobbiamo essere in grado di aggiornare ed adeguare l’intero impianto contrattuale e prendere atto che l’intero sistema produttivo è cambiato. In questo senso la nostra più grave responsabilità è aver ceduto ad una certa staticità di pensiero e di azione. Si pensi agli inquadramenti professionali dei contratti nazionali fermi alla preistoria e non aggiornati alle tante nuove professioni sorte in questi anni.

Il nuovo modo del lavoro dei giovani è fatto di tante nuove professionalità, nuove modalità organizzative, si pensi al cosiddetto smart working e al crescere del lavoro da remoto, alla costante crescita del lavoro autonomo e dei freelance, alla flessibilità come principio guida delle regolazioni dei rapporti di lavoro. Esiste un evidente spartiacque culturale e concreto tra vecchio e nuovo. Per dialogare con questa nuova realtà forse bisogna aggiornare gli attrezzi del mestiere, non ultimo il linguaggio sindacale. Su quali priorità in questo senso state ragionando?

Per adeguare l’organizzazione del sindacato alle tante novità che hai ricordato non basta porre la questione ma è necessario che tutta la struttura sindacale sia consapevole delle grandi trasformazioni in atto e decida di mettersi in discussione, un passaggio preliminare non scontato e che evidenzia non poche resistenze. La necessità di cambiamento vale per il linguaggio e le parole chiave che si utilizzano, ma anche per le procedure interne attuali che sembrano più simili ad un ministero che ad una moderna organizzazione dei lavoratori. Per mettere l’UGL nella stessa traiettoria dei processi di cambiamento in atto è prioritario entrare in relazione con i nuovi e giovani lavoratori in modo da portare all’interno dell’organizzazione le loro istanze d’innovazione. Per questo considero fondamentale aggiornare i linguaggi e le strategie di comunicazione in modo da poter raggiungere tutti i lavoratori, soprattutto quelli oggi lontani dal sindacato e accomunati dal dato generazionale. E’ un obiettivo dirimente del mio impegno e che conto di poter avviare nell’arco di quest’anno.

La rivoluzione digitale che ha toccato e cambiato tutti gli ambiti della vita economica, sociale e culturale delle nostre società sembra non aver ancora compreso il mondo sindacale. Il superamento della crisi di rappresentanza dei giovani passa inevitabilmente da una piena comprensione e accettazione della cultura digitale del lavoro di cui sono permeati i nativi digitali. Hai parlato a proposito di una nuova UGL 2.0 dimostrando di aver ben presente la questione. Come sarà il sindacato digitale che immagini?

Credo nel sindacato digitale. E sono perfettamente consapevole che non basta aprire un sito Internet ed essere presenti sui principali social network per dirsi al passo con i tempi. Sono cose che oggi sanno fare tutti. Occorre fare molto di più. Va rivoluzionato il modello organizzativo del sindacato secondo le direttrici indicate dalla rivoluzione digitale. La rappresentanza dei nuovi lavori passa dalla Rete. Questo significa ripensare le strategie di rappresentanza che non possono più basarsi sull’adesione a vita ad un progetto o ad una visione complessiva del mondo, ma devono rimodellarsi anche su singoli temi, su singole istanze e anche per periodi di adesione brevi. Oggi, c’è un grande attivismo sui temi del lavoro e delle professioni in Rete, che nascono fuori dal sindacato in modo autonomo e spontaneo e che non ricercano nessun contatto con noi. Dobbiamo essere capaci di spezzare questa barriera di incomunicabilità, entrare in relazione con le nuove forme aggregative sul lavoro e, in ultima istanza, rappresentale. O saremo in grado di fare questo o non saremo in grado di fare sindacato. Abbiamo già sperimentato al nostro interno modelli di organizzazione sindacale innovativi e digitali che ci stanno dando riscontri molto positivi. Questa è la via.

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