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Le assunzioni in Fiat e il Jobs Act. C’è una relazione con le politiche del lavoro del Governo Renzi? Sì e no

Oltre mille assunzione nello stabilimento Fiat di Melfi in cui si producono la Nuova 500X e la Jeep Renegade. Sembra una notizia d’altri tempi che ci riporta ai fasti industriali di un’epoca lontana. Certamente è un fatto di straordinaria rilevanza che non può essere in nessun modo sminuito: più di mille assunzioni e il rientro di tutti gli operai in cassa integrazione straordinaria nello stabilimento di Melfi, il più grande d’Italia del gruppo, e per giunta nel Sud Italia, sono una notizia bomba! Le assunzioni partiranno prima con contratti in somministrazione che successivamente verranno trasformati in contratti a tempo indeterminato, così come annunciato dall’azienda.

La ragione principale che c’è dietro il nuovo piano di assunzioni è legata al prodotto: le due auto in questione hanno un buon riscontro di mercato, anche in previsione, e quindi bisogna produrne una buona quantità nei prossimi anni. Se questa è la causa principale, come riconosciuto dallo stesso Marchionne – “Li avremmo assunti comunque, perché le auto dobbiamo produrle in qualche modo” – tuttavia non possono essere sottovalutate almeno altre tre concause rilevanti.

La prima concausa sono le nuove relazioni industriali in essere in Fiat. Dopo i referendum del 2010-2011 sul nuovo contratto aziendale e il piano di investimenti 2020 che ha segnato una profonda spaccatura nel sindacato, è prevalsa, grazie al voto dei lavoratori, la linea della responsabilità sostenuta da Fim e Uilm contro la linea dura e pura della Fiom. Quell’accordo, profondamente osteggiato da Landini e i suoi, è alla base dei piani di sviluppo della Fiat in Italia e senza il quale è lecito pensare che oggi non saremmo qui a parlare di nuove assunzioni. Adesso, alcun di loro e dei loro sostenitori mediatici (Gad Lerner, Furio Colombo, Massimo Mucchetti, qualche illustre firma de Il Sole 24 Ore e cosi via) per salvare la faccia ricordano che dal 2008 il Gruppo ha perso 5mila lavoratori. Come ricordato da Marco Bentivogli, segretario generale della Fim-Cisl, in un’intervista a Il Foglio: “Il mercato dell’auto pre-crisi era 2.700.000 vetture. Oggi è un mercato dimezzato a 1.350.000″. In questo scenario la Fiat e i sindacati firmatari hanno operato. E’ la riprova che le argomentazioni dei disfattisti sono strumentali e banali.

La seconda concausa è il bonus nuove assunzioni previsto nella Legge di Stabilità 2015 e valido per 3 anni.  Non ho mai creduto, e continuo a non credere, che gli incentivi contributivi e fiscali possano creare nuova occupazione. Le ragioni dello sviluppo occupazionale seguono l’andamento della domanda e dell’offerta del mercato di sbocco di un prodotto: semplificando, se cresce la domanda di mercato cresce l’occupazione, al contrario diminuisce. Ciò non toglie che questi bonus, se ben indirizzati, possano avere una loro utilità. Nel nostro caso, per un’azienda come la Fiat che ragiona e si muove su scala globale, le nuove assunzioni vengono definite anche in base al costo del lavoro di un determinato Paese. E’ indubbio che il bonus assunzioni del Governo Renzi abbatte di molto il costo del lavoro per i prossimi 3 anni, per i nuovi assunti, e ci rende più competitivi nel medi periodo. In questo senso c’è un’evidente convenienza per la Fiat.

Semmai, il problema è nel fatto che il bonus è riconosciuto a pioggia a tutte le nuove assunzioni e non è funzionale ad una saggia e rinnovata politica industriale. Ma questa è un’altra storia.

La terza concausa è il contratto a tutele crescenti. Si tratta dell’ultimo tassello del mosaico. Il nuovo contratto a tempo indeterminato, in realtà, di nuovo non ha nulla se non la disciplina sui licenziamenti. Sarà più facile realizzare i licenziamenti individuali (e collettivi?) grazie ad una profonda attenuazione della reintegra nel posto di lavoro in caso di licenziamento “incongruo” e l’individuazione di un costo economico per l’azienda certo e definito. Si spezza, come affermato dallo stesso Marchionne “il legame a vita tra l’azienda e il dipendente”. 

Questi tre fattori indubbiamente creano un contesto più favorevole agli investimenti industriali e ci devono far riflettere a fondo sulle scelte da prendere nei prossimi anni se vogliamo rilanciare l’economia e l’occupazione in Italia.

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