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L’Incoronazione di Poppea oggi

L’Incoronazione di Poppea sarà in scena dal 1° febbraio e concluderà il trittico dedicato a Claudio Monteverdi realizzato dal Teatro alla Scala in coproduzione con l’Opéra National de Paris e affidato a Rinaldo Alessandrini per la direzione d’orchestra e a Robert Wilson per la regia. Il progetto è stato inaugurato da L’Orfeo nel 2009 ed è proseguito con Il ritorno di Ulisse in patria nel 2011. Per la Scala si tratta di un viaggio alle radici del melodramma e alla riscoperta di un musicista immenso il cui teatro conserva un’efficacia che incanta e seduce anche gli ascoltatori di oggi.

Con L’Incoronazione di Poppea Monteverdi e il suo librettista Gian Francesco Busenello presentano per la prima volta nella storia del teatro musicale accadimenti storici e non mitologici, attingendo ai resoconti di Tacito e mettendo in scena personaggi reali se pure con abbondanti licenze. Il racconto si dipana rapido tra sfrenate ambizioni, delitti e una sensualità che non conosce costanza o rimorso, ostentando un’indifferenza ai dettami della morale che desta stupore anche tenuto conto dei costumi della Venezia secentesca e delle correnti culturali libertine che animavano consessi quali l’Accademia degli Incogniti, di cui il Busenello faceva parte.

Lo spettacolo scaligero si avvale dell’esperienza di Rinaldo Alessandrini, uno dei più prestigiosi musicisti italiani. Organista, clavicembalista, direttore d’orchestra e fondatore del Concerto Italiano, Alessandrini ha dato un contributo decisivo all’interpretazione della musica barocca in particolare italiana, restituendo alla prassi esecutiva storicamente informata gli elementi di cantabilità, fluidità e soprattutto attenzione all’articolazione della parola che restavano difficilmente accessibili a molti dei migliori complessi europei. Non a caso il Times di Londra lo ha definito “the man who has done so much to make Italian Baroque music sound Italian again”. Nel 2003 Rinaldo Alessandrini è stato nominato Chevalier dans l’ordre des Artes et des Lettres dal Ministro francese della Cultura.

Robert Wilson colloca la vicenda in una scena continuamente cangiante, in cui il restringersi e l’allargarsi degli spazi segue la stringente concatenazione degli eventi. Il prologo si svolge in un atrium romano il cui muro è stato ricoperto dalle radici di un fico, simbolo di una natura che insidia le costruzioni della civiltà (il riferimento è anche alle radici del fico che coprono il muro del tempio di Angkor, in Cambogia, delle quali si dice che destino l’amore in chi le tocca). Il muro torna, libero e intatto, nella casa di Poppea: ma all’infittirsi dell’intrico delle passioni corrisponderà il moltiplicarsi degli alberi che via via sostituiranno le colonne come nella Betsabea al bagno del Veronese.

Il palazzo di Nerone è uno spazio aperto delimitato da colonne in cui l’irrequietezza dei sentimenti è rappresentata da un blocco di pietra incrinato. Si torna a spazi delimitati per la casa di Seneca, un atrio da cui s’intravede un albero le cui radici sono state strappate dal suolo. L’obelisco oggi sito in Piazza San Pietro (un tempo circo di Nerone) campeggia nella scena successiva, che si svolge in una strada romana. Vedremo poi anche un enorme capitello proveniente dal foro romano. Lo spettacolo si conclude in una stilizzazione astratta della Domus Aurea. Ammantando le scene in luci dai sovrannaturali colori pastello Wilson ci ricorda che L’Incoronazione di Poppea è un racconto che attraversa gli istinti peggiori dell’uomo ma si conclude con il trionfo di Amore.

Ma cosa vuol dire L’Incoronazione di Poppea oggi, nei giorni dell’elezione del Capo dello Stato? La voluttà del potere (che si gode sopra le lenzuola) è maggiore o minore di quella del piacere (che si assapora sotto le lenzuola) ? Questo è un interrogativo che ci si pone ad ogni allestimento de “L’Incoronazione di Poppea”, dramma scritto circa 380 anni fa dal quarantacinquenne avvocato veneziano Gian Francesco Busello, scettico ed agnostico membro dell’Accademia degli Incogniti, e messo in musica da una squadra di musicisti guidata dal quasi ottantenne Maestro di Cappella della Basilica di San Marco, e “reverendo sacerdote”, Claudio Monteverdi. Era destinato ad uno dei primi teatri commerciali pubblici, quello di San Cassiano. Sviscera l’intreccio tra sesso e potere con una crudezza da fare impallidire “Nove Settimane e Mezzo” e Monika Lewinsky , anche se convenzioni sceniche fanno sì che al teatro d’opera l’”osé” termini quando al cinema Rocco Siffredi comincia.

In una Roma dove nessuno è senza peccato – lo stesso Seneca è un arrivista che cerca una soddisfazione postuma alla vanagloria che non riesce a soddisfare in vita – , intrigano tutti, principalmente tramite il sesso, per il potere – non solo Poppea, ma anche Ottavia, Ottone, Drusilla, le nutrici, i confidenti, i paggi e le donzelle. Il potere assoluto di Nerone viene scalfito dalla lussuria (c’è una scena vagamente bisex che nel Seicento doveva certo essere inconsueta a Venezia ed a Napoli, le due città dove si sono trovati manoscritti dell’opera).

Il tema pone difficoltà enormi alla messa in scena di “Poppea”. Esse sono aggravate dal fatto che i due manoscritti esistenti, incompleti e talvolta contraddittori, mancano di orchestrazione e che gran parte dei ruoli maschili erano affidati a sopranisti, di solito castrati – una specie estinta da secoli. Quindi, o abbassarli di qualche ottava ed affidarli a tenori e baritoni o farli cantare da donne (rendendo ancora più complicati i problemi di un allestimento che richiede scene erotiche).

Di “Poppee” se ne viste di tutti i tipi. Da versioni bellineggianti (ove non wagnerizzanti) supercensurate quali quelle che circolavano nell’Italia degli Anni 60, ad allestimenti rimaneggiati ma abbastanza espliciti – fece epoca quello degli Anni 70 alla New York City Opera ed alla Washington Opera con il giovane Alan Titus (coperto solo da un cache sex) e la giunonica Carol Neblet (in allusivo see-through) – alla “porno opera” (la definì così uno degli economisti “verdi” italiani) messa in scena da Luc Bondy (con strumentazione elettronica e jazz) a Bruxelles e portata in giro per mezza Europa nella prima metà degli Anni 90 ai 210 minuti di eros diffuso (frammisto a politics) creati da Klaus Micheal Gruber e Marc Minkowski a Aix-en-Provence nel 1999 e ascoltati quest’anno all’Opera di Vienna ed in altri teatri.

Un allestimento di Luca Ronconi, nel quadro del Maggio Musicale Fiorentino ed anche in programma in uno dei maggiori festival estivi tedeschi, ha cercato di raggiungere l’equilibrio tra quanto avviene sopra e sotto le lenzuola. Vedremo cosa farà Bob Wilson.


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