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L’ottimismo della volontà: la puntualità degli svizzeri

Con precisione davvero svizzera, la Banca centrale elvetica ha fatto tutto ciò che era necessario per sfilarsi dal cul de sac nel quale s’era infilata alcuni anni or sono fissando il cambio con l’euro a 1,20 franchi svizzeri.

Molti, sorpresi dall’annuncio, hanno notato come ancora nell’ultimo bollettino trimestrale, rilasciato lo scorso 11 dicembre, la Banca avesse assicurato d’essere intenzionata a proseguire nella sua politica di cambio fisso con l’euro, malgrado i grandi costi che ciò comportava. Salvo poi, poco più di un mese dopo, annunciare di aver cambiato idea.

La domanda da farsi, perciò, è molto semplice: cosa è cambiato in quest’ultimo mese?

Apparentemente nulla. Si è fatta più pregnante, questo sì, l’ipotesi del quantitative easing in salsa Bce, con i giornali a diffondere cifre e modalità più o meno credibili. Ma non è molto convincente l’ipotesi che la banca centrale svizzera si faccia influenzare dai boatos per decidere le sue politiche monetarie. O forse sì, chissà.

Personalmente sono persuaso che i banchieri guardino ai numeri più che alle opinioni. Sicché mi sono andato a rileggere l’intervento di Thomas Jordan, governatore della SNB, che così tanto ha dato lavoro alle penne in questi ultimi giorni. Peraltro conta una paginetta appena, però assai densa.

Dopo aver spiegato che la SNB abbandonava il cambio fisso, Jordan ha ricordato che la decisione era stata presa in un periodo “di eccezionale sopravvalutazione del franco svizzero e un livello estremamente alto di incertezza sui mercati finanziari”. Sicché la soglia, afferma “ha protetto l’economia svizzera”.

La sopravvalutazione c’è ancora, sottolinea, ma è diminuita. La novità è che sono mutati i cambi fra le altre monete: “l’euro si è deprezzato significativamente, e questo trend è probabile diverrà ancora più pronunciato”.

In particolare, l’euro si è deprezzato sostanzialmente nei confronti del dollaro “e questo ha causato che il franco svizzero, collegato a cambio fisso con l’euro, “si sia indebolito verso il dollaro”. “In queste circostanze l’SNB ha concluso che mantenere il cambio minimo del franco svizzero verso l’euro non sia più giustificato”.

A seguire il ragionamento, sembra che la Svizzera non abbia nessun interesse a svalutarsi rispetto al dollaro seguendo l’euro, dando per scontato il fatto che, sganciandosi dal cambio fisso, si rivaluterà sostanzialmente verso l’euro mentre non è detto che accadrà nel tempo lo stesso verso il dollaro.

Il resto della comunicazione è dedicata ai tassi di interesse, che vengono decisamente portati in territorio negativo: -0,75% per i depositi degli intermediari bancari, visto che “abbassare ulteriormente il tasso di interesse rende gli investimenti in franchi svizzeri molto meno attraenti e mitigherà gli effetti della decisione di sospendere il tasso minimo di cambio”. Il tasso Libor a tre mesi, infatti, viene abbassato dello 0,5%, collocandosi così in una forchetta fra -1,25% e -0,25%. Sembra proprio, insomma, che la Svizzera non voglia più ospitare soldi esteri. La qualcosa è pure comprensibile: questi capitali in cerca di rendimenti e sicurezza hanno messo sotto pressione l’economia, a cominciare dal settore immobiliare, che continua a crescere.

Infine, l’inflazione. La previsione per il 2014 è per una moderata deflazione, con il tasso a -0,1%, senza tener conto del ribassarsi dei corsi petroliferi che tuttavia, “stimolando la crescita, avrà effetti positivi sull’economia della Svizzera”. La chiosa finale è da manuale: la SNB presidierà il mercato dei cambi, pronta a intervenire anche nei mercati valutari se necessario.

Ora, è sempre difficile comprendere la regioni di una scelta, ma state pur certi che prima di comunicarla al mercato la SNB avrà fatto i suoi conti. E sono conti salati.

La difesa del cambio fisso, infatti, ha condotto a un’eccezionale espansione del bilancio della banca centrale, che si è riempita di asset denominati in euro. Aver abbandonato la soglia provocherà una minusvalenza nei bilanci della banca, visto che l’euro varrà meno rispetto al franco, che qualcuno ha conteggiato in 75 miliardi di franchi svizzeri con un tasso di cambio vicino alla parità.

E poi ci sono gli effetti sulle esportazioni e, indirettamente, sul mercato borsistico, sui quali non aggiungo nulla perché ci hanno già riempito di chiacchiere in questi giorni.

Quello che vorrei qui osservare è altro: da una parte la composizione del prodotto interno svizzero. Dall’altra l’effetto di un indebolimento del franco svizzero rispetto al dollaro, che sembra sia quello che la SNB voglia innanzitutto evitare. Solo ingenuamente si può credere che la SNB avesse in animo di sfidare la BCE quando ha fissato il cambio.

Cominciamo dal prodotto. La fonte più aggiornata che ho trovato è sempre il bollettino trimestrale di dicembre 2014, lo stesso che diceva nella prima riga che il cambio fisso non sarebbe stato abbandonato.

Nel terzo trimestre 2014, nota la SNB, la crescita è stata superiore al 2%. E’ interessante notare il contributo dei singoli settori alla crescita. Guardando gli istogrammi relativi al 2004, ciò che emerge con chiarezza è che i settori che più di tutti hanno contribuito sono stati il manifatturiero, la pubblica amministrazione e quelli generalmente definiti “altri”, dove non rientrano né il settore bancario, nè i servizi business related o delle costruzioni, pressoché piatti. Il bancario è sparito.

Quanto alle componenti, si segnala un robusto aumento della domanda interna, sia pubblica che privata, e dell’export netto, guidato dal settore farmaceutico e chimico, nonché dagli strumenti di precisione e dagli orologi. “La stimolo della domanda – sottolinea il documento – è arrivato primariamente dagli Stati Uniti, l’Asia e il Medio Oriente”. Quindi nel terzo quarto 2014 è lì che le merci svizzere sono state più di altrove acquistate.

Per avere un quadro più chiaro del commercio estero svizzero, giova conoscere un altro paio di informazioni. La prima è che l’export globale, fatto 100 l’indice della prima metà del 2012, ha superato 110 per le economie emergenti e sta poco sopra 100 per quelle avanzate. La seconda è che il tasso di cambio ponderato su base commerciale, ossia pesato sul commercio, mostra che dall’inizio del 2014 l’indice è cresciuto nei confronti degli Usa, il che implica un rafforzamento del dollaro di quasi il 10% fatto 100 la base del 2010. Euro e yen, invece, risultano essersi indeboliti, quotando l’indice 90 per l’euro e quasi 80 per lo yen.

Il quadro macro si completa se guardiamo al cambio nominale, in particolare fra franco svizzero e dollaro, che esibisce una curiosità. A partire dal 21 dicembre, quindi pochi giorni dopo la pubblicazione del bollettino della SNB, il franco svizzero comincia a indebolirsi costantemente verso il dollaro che addirittura, con l’anno nuovo, scende sotto la parità. Il 3 gennaio 2015, per dire, 1.000 dollari americani compravano 1.001,70 franchi e il 15 gennaio, giorno del discorso di Jordan sempre mille dollari compravano 1.020,9 franchi. Ecco perché il governatore ne fa menzione nel suo discorso.

Il 16 il franco si rivaluta bruscamente: mille dollari comprano appena 865,1 franchi e da lì ci siamo spostati poco. Siamo tornati più o meno al livello di marzo 2014. Dove evidentemente la SBN voleva ritornare. Pure a costo di sacrificare la bilancia delle merci, che comunque non è così automatico come gli esportatori vogliono far credere, e appesantire di minusvalenze il bilancio della SNB. Perché?

Prima di rispondere a questa domanda mi pare logico trarre una conclusione: checché ne dica il mainstream, a far premere il grilletto di Jordan non è stato ( o almeno non solo) l’euro, o il QE della Bce. Un robusto contributo è arrivato dallo stato del cambio con la valuta americana, pur nella considerazione “che il valore esterno del franco svizzero è ancora alto”. Il che non è assolutamente un male. Abbiamo visto che molta della crescita svizzera si basa sulla domanda interna, sulla quale una rivalutazione del cambio ha potenziale effetti espansivi, utili sia al prodotto che all’inflazione,

Ma cosa importa alla Svizzera del cambio col dollaro Usa?

La risposta potrebbe trovarsi osservando l’alto grado di esposizione delle grandi banche svizzere verso gli Stati Uniti. Anche nell’ultimo rapporto sulla stabilità finanziaria la SNB osserva come un andamento declinante dell’economia statunitense metta in serio pericolo le grande banche elvetiche.

Se a ciò aggiungete che le attese sui tassi americani sono al rialzo, e che il dollaro è previsto si rafforzi a livello globale, se ne può dedurre che la banca centrale, che si deve preoccupare dell’inflazione e della stabilità finanziaria, sia stata assai risoluta nell’affrontare il rischio crescente, quello importato dagli Usa, a fronte, di quello declinante, rappresentato dall’euro. E ciò spiega anche la chiosa finale di Jordan, quella in cui dice che la SNB interverrà sul mercato dei cambi quando necessario. Difficilmente lo farà comprando euro, stavolta.

Insomma: sfoggiando un notevole ottimismo della volontà i banchieri centrali elvetici hanno premuto il grilletto prima che lo premessero altri. E lo hanno fatto con grande puntualità.

D’altronde, sono svizzeri.

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