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Che cosa pensano i vescovi calabresi della ’ndrangheta

“La ‘ndrangheta non ha nulla di cristiano”. Sembra scontato dirlo ma, evidentemente, l’annebbiamento contemporaneo ha fatto sì che una Nota pastorale pubblicata dei vescovi calabresi il 2 gennaio si sia incaricata proprio di spiegare questo, e tanto ai fedeli quanto a tutti gli Italiani.

NON SOLO ORGANIZZAZIONE CRIMINALE

Il documento, presentato dal presidente della Conferenza episcopale calabrese, monsignor Salvatore Nunnari, arcivescovo di Cosenza, e dal vicepresidente, monsignor Francesco Milito, vescovo di Oppido Mamertina-Palmi, nasce per porre un argine all’«uso distorto dei riti religiosi» che, in buona parte del Mezzogiorno, è imposto dalla violenza e dall’intimidazione a determinate comunità e realtà locali dalle varie bande e gruppi di criminalità organizzata che controllano di fatto il territorio.

La ‘ndrangheta, denunciano giustamente i vescovi, «Non è solo un’organizzazione criminale che, come tante altre, vuole realizzare i propri illeciti affari con mezzi altrettanto illeciti e illegali, ma – attraverso un uso distorto e strumentale di riti religiosi e di formule che scimmiottano il sacro – si pone come una vera e propria forma di religiosità capovolta, di sacralità atea, di negazione dell’unico vero Dio».

Con questo documento, al quale L’Osservatore Romano ha dato molta rilevanza, sintetizzandone ampiamente i contenuti nell’edizione del 4 gennaio 2015 (a p. 7), la Chiesa in Calabria ribadisce nel modo più solenne che, chi appartiene od appoggia la ‘ndrangheta si pone inequivocabilmente al di fuori dalla comunione ecclesiale (è, cioè, “scomunicato”). «La ‘ndrangheta – affermano al proposito i vescovi – è una struttura di peccato che stritola il debole e l’indifeso, calpesta la dignità della persona, intossica il corpo sociale. È, in tutta evidenza, opera del male e del maligno».

PAPA FRANCESCO: “’NDRANGHETA E’ ADORAZIONE DEL MALE”

Del resto lo stesso Papa Francesco, in occasione della recente visita pastorale a Cassano allo Jonio, ha fulminato la ’ndrangheta come «adorazione del male e disprezzo del bene comune. Questo male va combattuto, va allontanato! Bisogna dirgli di no! La Chiesa che so tanto impegnata nell’educare le coscienze, deve sempre di più spendersi perché il bene possa prevalere» (Omelia nella Santa Messa sulla spianata dell’area Insud, Sibari 21 giugno 2014).

Manca forse, nell’importante nota che, prioritariamente, non può che avere un taglio ed un approccio pastorale (s’intitola appunto “Testimoniare la verità del Vangelo”), un riferimento a quello che il Pontefice ha denunciato come il «dramma lacerante della droga, sulla quale si lucra in spregio a leggi morali e civili» (Messaggio per la celebrazione della 47.ma Giornata della Pace, 1° gennaio 2014). Infatti, come leggiamo nella conclusione del documento, che è la parte più specificamente dedicata alla “denuncia sociale”, la dimensione globalizzata della ‘ndrangheta pare esclusivamente alimentarsi grazie all’appoggio di quelle «frange della politica e dei poteri forti deviati» che le forniscono «connivenze e collusioni», permettendole di «piegare ai propri fini i suoi alleati, tante volte prezzolati in termini di denaro pulito e sporco, di tangenti, di favori e di raccolta di voti e consensi».

Quindi una condanna, pur giusta e sacrosanta, della corruzione politica ma, a questa, poteva esserne utilmente associata una anche alla corruzione sociale, specie quella alimentata dagli ambienti mediatici che, facendo delle droghe un ideale, più o meno diretto, regalano alla ‘ndrangheta uno dei suoi maggiori propulsori finanziari. Una tale condanna avrebbe anche aiutato quei settori politico-istituzionali che, con fatica, cercano di resistere ai ricorrenti, e demagogici, tentativi introdurre la “legalizzazione”, specialmente delle droghe c.d. leggere. Come ribadito dal Capo del Dipartimento Politiche Antidroga Giovanni Serpelloni, nella Presentazione al volume “Varianti delle piante di cannabis e danni alla salute”, recentemente pubblicato dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri, «non esiste alcuno studio né evidenza scientifica che dimostri che la legalizzazione sia in grado di ridurre efficacemente gli introiti delle organizzazioni criminali».

Sono oltre 300 le nuove droghe sintetiche che stanno avvelenando la nostra gioventù e, come affermato chiaramente dal professor Serpelloni, la “legalizzazione” «sarebbe solo un grande favore fatto alle mafie e a quelle industrie che già sfruttano questa negativa opportunità. Come diceva il giudice Borsellino: “pensare di legalizzare è da dilettanti di criminologia».



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