la francia oggi scende in piazza contro il terrorismo e, dunque, posso stracciare il cartello “je suis charlie”. non sono charlie, o, meglio, lo sono stato in questi giorni per solidarietà con le vittime della redazione di charlie hebdo. ma la mia cultura liberale (quella straussiana, degli antichi) non si riconosce in chi professa, in nome della libertà di satira, che possa tutto essere concesso. libertà non vuol dire anarchia. anche la libertà di satira deve avere il suo limite nel rispetto dell’altro. diversamente, è evidente che come la satira pretende di poter offendere la religione, anche quest’ultima potrebbe offendere la satira (ovviamente, mi riferisco ai reati di blasfemia o alla censura, non alle pallottole). siamo all’homo homini lupus. che è il terreno elettivo della attuale concezione della satira, che si crede corrosiva ma che è tanto più facile quando non deve confrontarsi con l’homo homini sanctus. rimane l’interrogativo di fondo: cosa distingue la (vera) satira, garantita dalla libertà di espressione, dal brutale divertissiment nel quale il vignettista sfoga il suo ego? cosa esprime la vignetta sulla Trinità con la quale charlie hebdo ha protestato contro la chiesa cattolica francese contraria alle nozze gay? forse sarà satira a parigi e nell’occidente che non crede più a nulla. ma quando vedo il buco sul piede de “le Fils” penso ai cristiani crocifissi in iraq e dinanzi a questa terribile testimonianza della libertà di espressione religiosa (martirio) rimango convinto che anche chi fa satira debba il rispetto che pretende per la propria libertà.
Oggi non sono più Charlie
Di