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Perché il Patto di stabilità europeo ora è un po’ meno stupido

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Novità importanti in materia di attuazione degli strumenti di controllo dei bilanci nazionali, contenuti nel Patto di stabilità e crescita. A presentarle è stata, il 13 gennaio, la Commissione europea.

La Comunicazione, come chiarito con evidente insistenza dalla Commissione, non intende modificare la normativa vigente, ma semplicemente introdurre dei criteri interpretativi che consentano una maggiore flessibilità nelle regole che presiedono ai controlli su deficit e debiti pubblici, tenendo conto in particolare di tre obiettivi:
1) l’esigenza di non penalizzare alcune categorie di investimenti pubblici;
2) l’opportunità di incentivare le riforme strutturali;
3) la necessità di valutare in maniera più accurata le condizioni del ciclo economico.
Investimenti pubblici e riforme strutturali

Per quanto riguarda gli investimenti pubblici, è prevista la possibilità di un parziale esonero dal calcolo del deficit (in effetti consentendo temporanee deviazioni dalla traiettoria di riduzione del deficit) per:
1) i contributi degli stati membri al Fondo europeo per gli investimenti strategici, Efsi ;
2) i co-finanziamenti nazionali a singoli progetti finanziati dall’Efsi;
3) i co-finanziamenti nazionali per i progetti finanziati dai fondi strutturale europei.

Spostandosi alle riforme strutturali, si propone una apposita clausola che consente ugualmente una temporanea deviazione dall’obiettivo di riduzione del deficit per quei paesi che si impegnano nell’attuazione di riforme strutturali particolarmente significative, destinate ad avere un impatto verificabile e monitorabile sulla crescita e sulle finanze pubbliche.

Infine per quanto riguarda l’obiettivo di una presa in considerazione delle condizioni del ciclo, la Comunicazione propone una “matrice” che consentirà alla Commissione di modulare la richiesta di riduzione del deficit strutturale, correlando la dimensione di tale riduzione all’andamento del ciclo nel paese interessato, così da consentire di chiedere riduzioni del deficit strutturale più significative – in presenza di una congiuntura economica positiva – e progressivamente meno significative in presenza di condizioni di recessione o bassa crescita.

NUOVE CLAUSOLE DI FLESSIBILITÀ

Con l’evidente obiettivo di respingere eventuali critiche che potrebbero venire dai sostenitori più radicali del rigore di bilancio, la Commissione si è premurata di dimostrare che ognuna di questa clausole è consentita dal dispositivo del Patto attualmente in vigore. Le nuove clausole interpretative si collocano in un contesto di diritto costante e di regole in teoria inalterate.

La Comunicazione contiene numerose precisazioni che definiscono le condizioni di applicabilità delle clausole di flessibilità.

A seconda che si tratti di paesi che si trovano nella parte preventiva o nella parte correttiva del Patto, la Comunicazione introduce una importante distinzione dell’applicazione delle clausole. Sono precisazioni e distinzioni che in varia misura circoscrivono gli effetti delle innovazioni introdotte dalla Commissione.

Al di là delle complessità interpretative e dei vari tecnicismi, la Comunicazione segna una significativa soluzione di continuità rispetto al passato.

Essa infatti codifica (a uso esclusivo della Commissione che non dovrà sottoporre questi criteri al giudizio degli Stati membri), nuovi criteri destinati a regolamentare il ricorso a quella flessibilità che era invocata da molte parti; introduce una maggiore discrezionalità nella applicazione del Patto di stabilità e sottrae l’attuazione di quest’ultimo all’arbitrio di negoziati più o meno sotterranei fra Commissione e stati membri.

ATTUAZIONE PIÙ INTELLIGENTE DEL PATTO DI STABILITÀ

Sicuramente qualcuno giudicherà queste proposte ancora troppo timide e insufficienti. Altri considereranno che nei fatti tradiscono lo spirito delle recenti riforme del Patto di stabilità (che avevano appesantito le regole e i vincoli sui bilanci nazionali).

Personalmente ritengo che, date le circostanze (che sicuramente non consentono una revisione più drastica delle regole vigenti) queste idee siano un utile passo avanti verso una attuazione più intelligente del Patto di stabilità; e verso una interpretazione e attuazione dei processi di aggiustamento fiscale più coerente con la realtà di una economia europea che ancora stenta a riprendersi.

Pur costituendo un’apertura concettuale non indifferente, la clausola sugli investimenti è forse quella meno significativa. Non solo è circoscritta (siamo ben lungi dalla “golden rule” invocata da molti soprattutto in Italia), ma è anche di limitato utilizzo.

In una certa misura è già stata anticipata da precedenti comunicazioni della Commissione. La clausola sulle condizioni del ciclo, per quanto possa apparire come una applicazione di un elementare criterio di buon senso, era però tutt’altro che scontata fino a qualche settimana fa.
Costituisce la novità di maggiore impatto anche immediato (lo si dovrebbe verificare entro marzo quando la Commissione esaminerà le leggi di bilancio dei Paesi membri così come approvate dai rispettivi parlamenti).

E infine la clausola sulle riforme strutturali (la più importante, ma anche la più difficile di attuare) corrisponde a quell’obiettivo, da tutti condiviso, di collegare politiche di bilancio e politiche di riforma, incentivando le riforme con la flessibilità, secondo quel “trade off” che in passato non si era riusciti a realizzare con lo strumento dei “contractual arrangements”.
Giudizio quindi positivo, anche se c’è da chiedersi se tutto questo sarà sufficiente. La risposta è negativa. Non saranno queste modeste aperture in tema di flessibilità, da sole, a fare la differenza. Sono però idee che si muovono nella giusta direzione, che testimoniano una diversa sensibilità della nuova Commissione.

Parte del merito va anche al ruolo svolto dal governo italiano che, sfruttando anche il semestre di Presidenza, aveva collocato questo obiettivo tra le sue priorità.

Qui l’articolo completo



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