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Perché Renzi tiene in vita Berlusconi

La comunità degli analisti di rischio politico ha rimesso Roma al centro del proprio radar. Per spiegare questo interesse, va anzitutto tenuto presente il calendario elettorale dell’eurozona, che per il 2015 fa registrare numerosi appuntamenti. Vi rientrano alcune geografie abitualmente accostate all’Italia come Grecia, Spagna e Portogallo, ma anche “falchi” come la Finlandia (vota a marzo di quest’anno). Combinate con l’accresciuta complessità geopolitica che riduce il sollievo da prezzi petroliferi in calo e nell’incertezza sulle prossime politiche monetarie della BCE, queste situazioni accentuano l’interesse per l’Italia.

Con il quarto debito pubblico al mondo, una demografia senescente, una architettura costituzionale edificata all’indomani della seconda guerra mondiale e una fase depressiva delle élites tricolore che sembra non conoscere fine, l’Italia è inevitabilmente oggetto di attenzioni e interrogativi per il cocktail di rischi che presenta.

Un colpo formidabile alla reputazione di Renzi l’ha assestato la vicenda del “salva-Berlusconi”. Nemmeno l’essersene tardivamente assunto le responsabilità mette al riparo il premier dai sospetti di Bruxelles e dei mercati finanziari. I quali – non dimentichiamolo – avevano fortemente contribuito alla fine del governo Berlusconi nella XVI legislatura, e avevano brindato all’impeachment giudiziario-parlamentare del Cav. nel 2013. Del patto tra Berlusconi e Renzi si è detto e scritto molto fin da quando Renzi ha avvicendato Enrico Letta a Palazzo Chigi. L’idea è sempre stata che, al netto di non poca furbizia tattica tra i contraenti, questo sodalizio rientrasse nel quadro delle larghe intese voluto da Napolitano per pacificare i partiti moderati e attendere che passasse la buriana dell’antipolitica.

Ma Napolitano è in predicato di lasciare, e il “salva-Berlusconi” ha illuminato una dinamica che ha poco a che vedere con il nobile intento di chi vuole riforme in un clima di concordia. La mossa di Renzi è esclusivamente tattica: “scambiare” l’acquiescenza di Berlusconi su legge elettorale e presidenziali, per poter votare quando il livello di popolarità di Renzi non sia ancora compromesso. Renzi adotta una linea in totale controtendenza con la passata gestione del PD: anziché distruggere il Cav, Renzi vuole riesumarlo, insufflargli il minimo necessario di vita nel petto perché possa tornare. Così, riabilitato ma azzoppato e incapace di vincere, il Cav offre a Renzi una fondamentale garanzia: che dalla landa desolata del centrodestra non arrivi il veltro dantesco, un imprevedibile figlio del caos, a soffiargli Palazzo Chigi.

 



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