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Una ramazza, un volo

C’era una volta un scopa. Vecchia, con la chioma tutta spelacchiata. Una ramazza era, abbandonata da chi l’aveva posseduta vicino a un mucchio di rifiuti. Quella mattina, una piccola bimba dai riccioli biondi che viveva in quel tanto di periferia, la vide e la prese con sé. Aveva le mani nerissime e i vestiti sgualciti la bimba e quando tornò verso la baracca, avvertì su di sé, per via di quella scopa, l’invidia degli altri suoi coetanei. Perché quelle fattezze di quella ramazza erano tutto un concentrato di suggestione e magia. In effetti, le vetrine di quel piccolo mondo non sfavillava certo di luci. Di nessun giocattolo. Nessuno, in quell’anacoluto di periferia, era capace di offrire a quei piccoli una storia con il suo saliscendi d’immaginario.
Ma quella sera, quella notte, la piccola tenendo stretta quella scopa con quella chioma di rametti secchi e scompigliati che avevano dovuto strusciare tutte le più polverose vie del mondo, si avvolse tra i suoi cenci sognando di sognare. E sognó. Un istante dopo aver chiuso gli occhi, aveva già inforcato la ramazza e, dopo essere passata attraverso la fuliggine che cadeva come neve dalle ciglia, vide di fronte a sé l’immensità di quella notte in cui le stelle accendevano l’infinito tappeto del cielo dove lei, la bimba, nel capovolgersi del sogno poteva saltellare come nel più esclusivo dei pavimenti dei più regali saloni. Fu quella cavalcata un saliscendi tra un desiderio e il successivo. Perché quella notte tutto ciò che pensava, lo sognava e si avverava. Proprio l’esatto contrario di quello che le succedeva di giorno.
Decise d’un tratto di ritagliarsi un breve momento di ristoro. Fermò dunque la corsa del suo bolide vicino a un piccolo laghetto. E quando si scorse verso il piccolo specchio d’acqua per lavarsi il viso si vide invecchiata, con la gobba, e due orribili nei sul naso.
Si voltò di scatto, presa dal terrore e interrogò con lo sguardo la scopa. Intanto in quel cielo di stelle in cui andavano radunandosi nubi nerissime ancora sfilacciate come le più turbolente scie del creato, una formazione di scope volava compatta verso la luna rossissima. Lei la scopa diede un buffetto con la ramazza alla sua padroncina e volò via a unirsi con le altre. E lei la bimba, aperti gli occhi, si svegliò nel più amorevole dei giacigli. Le braccia di una mamma nei cui occhi si vide riflessa bella com’era. Pulita e fresca con i suoi bellissimi riccioli biondi.

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