Gli 80 euro sono stati un flop di politica economica. Pensati e voluti per stimolare la domanda in funzione anticiclica, nei fatti si sono rivelati, in un contesto di aspettative negative, soprattutto una sollecitazione della propensione al risparmio. Un supporto a contrarre una mini polizza assicurativa per affrontare l’infinita recessione italiana ed i suoi effetti negativi sul lavoro ed i redditi.
Più o meno andrà allo stesso modo con gli sgravi alle imprese contenuti nell’ultima legge di stabilità. Meno Irap sul lavoro e super Ace, per citarne solo due, contribuiranno a migliorare il cash flow di quest’anno delle imprese italiane. Almeno di quelle di sana e robusta costituzione. Ma dove pensate che investiranno queste stesse imprese le risorse aggiuntive messe a disposizione dal governo Renzi? Nella stragrande maggioranza non in Italia, perché le aziende che vorranno ancora rischiare per crescere approfitteranno degli effetti in termini di utili degli sgravi per investirli all’estero.
Zero o scarse ricadute, quindi, sull’occupazione italiana ed anche sul pil del Bel Paese, perché il maggior reddito disponibile dopo le tasse le imprese italiane, con un’elevata probabilità, decideranno di investirlo nei mercati più dinamici e dove il rendimento netto del capitale è di molto superiore a quello italiano: Regno Unito, Usa, Germania, Singapore, Canada, Sudafrica e così via nella scelta tra le molte opzioni del globo. Troppo rischioso e troppo poco conveniente investire in Italia. “E’ il capitalismo bellezza”, direbbero gli investitori a Renzi, dove non basta qualche ammuina per invertire la rotta, perché per raddrizzare la nave Italia servono le riforme promesse dal rottamatore alle primarie.
“Appena letta l’ultima manovra di bilancio mi ero convinto che il flop bis degli 80 euro era già cotto e pronto ad essere servito. Sono andato anche alla Leopolda ma i provvedimenti concreti di Renzi mi hanno molto deluso. Se avessi l’opportunità lavorativa mi trasferirei subito all’estero”, mi confessa il cinquantenne direttore generale di una delle più importanti istituzioni finanziarie italiane. Una vita professionale tra consulenza strategica e alta finanza per ritrovarsi al vertice della carriera ad agognare una contatto su Linkedin che gli offra una posizione manageriale lontano dall’Italia.
Stessa musica con l’amministratore delegato di una società che fattura circa 200 milioni di euro: “Me ne voglio andare dall’Italia, qui si lavora troppo male ormai. Puoi darmi una mano a ricollocarmi all’estero? Mi va bene anche andare a lavorare in Africa o a Dubai”. L’ultima conversazione pre natalizia con un conoscente di vecchia data che non vedevo da quattro anni. Uno dei migliori imprenditori dell’Ict italico degli ultimi quattro lustri che ha saputo fondare e vendere due imprese per un controvalore totale di 500 milioni: “Me ne sono andato a vivere a Londra dove ho creato un mio fondo di venture capital, l’Italia ormai la osservo da lontano e non mi dispiace per niente”.
Tutti in fuga dall’Italia, dunque. Soprattutto quelli più bravi che non hanno bisogno di scodinzolare dietro ai politici alla ricerca di una nomina pagata dalle tasse altrui. L’effetto Renzi si è già esaurito. Il capitale umano specialistico e il capitale finanziario sono sempre più lontani, con la testa e con il portafoglio, dal Bel Paese e le utili, anche se troppo timide, novità fiscali dell’ultima manovra del governo serviranno solo ad accelerarne il riposizionamento geografico.