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Veglia e veglione

È notte. Ci sono le tenebre. Le onde, altissime. I cinque marinai se ne stanno in coperta con un occhio alla prua e uno alla poppa. Davanti, le onde alte quanto la costa ripida lì a poche miglia. Dietro, il ferro, feretro sopravvissuto al fuoco.  Il vento gonfia il mare davanti increspando l’onda che si riflette sotto l’intermittenza del fortunale. Dietro, il vento s’infila dentro gli occhi del traghetto ridotti a cavità vuote. Il vento vi entra dentro e corre, da una parte all’altra lungo cabine, ponti, coperte e stive come colui che cerca disperato qualcuno. Nei passaggi stretti, il vento accelera e grida disperazione mentre gonfia le tende dandovi forme di uomini senza volto. Come in una processione, il rimorchiatore che tira il feretro fa tre passi avanti e due indietro. Per i cinque marinai è notte di veglia.
È notte. Ci sono le tenebre. Tutt’ intorno è bianco di neve. È il fuoco dell’uomo che festeggia se stesso in un tripudio di luce artificiale. Donne, uomini, vecchi e bambini contano numeri nel verso contrario festeggiando l’anno che verrà secondo liturgie che cercano di copiare il presente sul futuro. Le mani battono, gli occhi luccicano, i denti brillano. Luci, luci e luci sfocano la cartolina del veglione.
Il bianco bagliore del lampo sulle finestrelle, che accende un sorriso sul volto del feretro del traghetto nella notte adriatica, è spettrale quanto quello di uno dei tanti volti anonimi che brinda sorridendo al nuovo anno. Quanta distanza tra un brindisi di Capodanno e un Capodanno verso Brindisi.


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