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Vi spiego perché i 1000 miliardi della Bce non bastano. Parola di De Nardis (Nomisma)

“In condizioni normali il calo del greggio è una notizia univocamente positiva: la flessione aumenta i redditi reali dei consumatori e i profitti delle imprese nei paesi importatori, come l’Italia e le altre economie euro; la spinta sulle loro domande interne più che compensa il regresso dell’export verso i paesi fornitori di energia e traina la crescita del Pil”. Con queste parole si apre l’analisi di scenario dal titolo Insidie Petrolifere, curata da Sergio De Nardis – capo economista di Nomisma – e pubblicata oggi all’interno della newsletter relativa al mese di gennaio 2015.

QUESTIONE GREGGIO

Quando si parla di crollo petrolio, è inevitabile che la memoria torni a quei Paesi industriali che hanno tratto giovamento – in termini di crescita – dagli effetti del contro shock petrolifero verificatosi nel 1986. Purtroppo, però – sottolinea Nomisma – il 2015 è ben lontano dal 1986, cronologicamente ma anche economicamente: con un’inflazione a zero e i tassi d’interesse della Bce anch’essi a zero, l’economia europea attraversa una fase tutt’altro che normale, e anche dietro le notizie più ottimistiche possono nascondersi insidie di grande portata.

EFFETTO PETROLIO

L’analisi del Think Thank bolognese si propone di indagare gli effetti dello shock di riduzione dei costi, consentito dal calo del greggio: se è vero che, in condizioni di normalità, la riduzione dei costi porta a una caduta dell’inflazione e a un aumento del PIL  – com’è avvenuto nel 1986 – è necessario, però, che la   politica monetaria abbia la possibilità  di contrastare la discesa dell’inflazione sotto i livelli di equilibrio; per scongiurare quest’eventualità occorre ridurre i tassi d’interesse ma se questi sono già al limite zero – ovvero al minimo – si avranno effetti di contrazione dell’attività economica che coinvolgeranno, soprattutto, i soggetti più colpiti dal calo dei prezzi, ovvero i debitori, siano essi Stato o privati.

LE MIRE DELLA BCE

È per questo che l’azione della Bce dev’essere tempestiva ed efficace e vertere – con lo strumento dei tassi d’interesse fuori uso – sull’ampliamento dell’immissione di liquidità per contrastare l’abbattimento delle aspettative d’inflazione; aspettative che al momento sono estremamente basse per quanto concerne tanto il tasso d’inflazione italiano quanto quello dell’area Euro, come si evince confrontando i rendimenti dei Buoni del Tesoro ordinari con quelli indicizzati, sostiene De Nardis.

LE PROSSIME MOSSE DI DRAGHI

Il capo economista di Nomisma evidenzia come per contrastare possibili effetti di disinflazione e la caduta delle aspettative, alla Bce non resti che ricorrere al Quantitative easing, ovvero a un’azione prolungata di acquisti di titoli pubblici e privati nel mercato secondario per arrivare ad abbassare i tassi d’interesse reali, attraverso la creazione di inflazione e – soprattutto – aspettative d’inflazione. Per arrivare all’obiettivo d’inflazione al 2% per l’eurozona – stima De Nardis sull’esperienza di Qe americana e inglese – occorrerebbe un’iniezione minima di 1000 miliardi di euro (80 al mese).

I NUMERI BASSI

Questa cifra però – rimarca l’economista – non risulterebbe assolutamente sufficiente qualora il tasso reale di equilibrio europeo (quello che cioè assicura il pieno impiego) fosse diventato negativo: in tal caso la Bce dovrebbe effettuare interventi ancora più forti, da 100 miliardi di euro al mese e più. È chiaro che un’operazione di tale portata incontri le resistenze di paesi come la Germania che – per correggere gli squilibri coi paesi periferici- dovrebbe portare l’inflazione al 3%, ed è proprio per questo che sarà sempre compito della Bce convincere anche gli operatori più restii all’adozione del Qe sino al raggiungimento dell’obiettivo, ovvero dell’inflazione al 2%.



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