In Yemen non c’è più un governo, né un presidente. Il 22 gennaio, dopo che gli huthi, i miliziani sciiti zaiditi del nord, assediavano da giorni il palazzo presidenziale di Sana’a, Abdu Rabu Mansur Hadi, presidente ad interim dal 2012, e Khaled Bahah, premier del governo tecnico che aveva ottenuto la fiducia parlamentare in dicembre, si sono dimessi.
Il parlamento ha rinviato sine die la sessione straordinaria e Washington ha chiuso la sua ambasciata.
Quattro governatorati del sud, fra cui Aden e l’Abyan epicentro delle campagne droni statunitensi contro Al-Qaida nella Penisola Arabica, Aqap, hanno rifiutato le dimissioni, in solidarietà con il corregionale Hadi. La manifestazione pro-governativa che ha riempito sabato 24 le strade di Sana’a è stata dispersa dai miliziani sciiti con spari in aria e arresti arbitrari.
ESCALATION HUTHI
Il movimento religioso-politico-militare degli huthi nasce negli anni Ottanta a Saada: il defunto fondatore, Husayn Al-Huthi rivendicava l’identità sciita zaidita (l’imamato governò lo Yemen del Nord fino al 1962) contro la “sunnizzazione” dell’Islam yemenita incoraggiata dal potere centrale e propiziata dal soft-money power dell’Arabia Saudita.
Dopo le dimissioni, nel 2011, del presidente Ali Abdullah Saleh, gli huthi – basati nella regione settentrionale di Saada – hanno conquistato numerosi territori. Questo anche grazie alle armi e alla desistenza di unità dell’esercito ancora fedeli a Saleh. Nel farlo hanno sconfitto le milizie sunnite legate a Islah (partito che raggruppa Fratelli musulmani e salafiti) e alla famiglia Al-Ahmar nel loro feudo, Amran, verso Sana’a.
Questo avveniva nello stesso momento in cui Ansarullah, il movimento politico huthi, partecipava al dialogo nazionale incaricato di riscrivere la costituzione, giocando dunque sia sul tavolo politico che su quello militare.
Quando nell’agosto 2014 il governo ha ridotto i sussidi sui carburanti, gli huthi hanno occupato la capitale, dapprima in modo pacifico, poi scontrandosi con forze di sicurezza e milizie filo-governative: l’Accordo nazionale di pace siglato da tutte le parti in settembre ha temporaneamente arginato la violenza urbana, costituendo un governo tecnico sostenuto anche da Ansarullah e dagli autonomisti del Movimento meridionale.
NO ALLA RIFORMA FEDERALE
La battaglia per l’autonomia delle terre settentrionali è presto divenuta il perno della lotta huthi. Ansarullah si è però subito opposto alla riforma federale elaborata da Sana’a che raggruppa le roccaforti del movimento nella nuova macro-regione di Azal, densamente popolata, scarsa di risorse energetiche, priva di sbocchi sul mare.
Gli huthi hanno così rapito Ahmed Awad bin Mubarak, segretario della commissione di riforma. La situazione è precipitata in fretta, con l’assedio al palazzo presidenziale e alla residenza privata del presidente, conclusasi con il fallito attentato al convoglio del premier.
QUATTRO LIVELLI DI SCONTRO
Sono almeno quattro i livelli, intrecciati, del conflitto in Yemen. Vi è lo scontro centro-periferia tra gli insorti del nord e l’autorità centrale, incarnato nel sud dal Movimento meridionale, ormai portatore d’istanze indipendentiste.
C’è poi la lotta per il potere fra gli apparati della transizione, monopolizzati da Islah, e l’élite dell’ancien regime che fa capo ai Saleh (il figlio Ahmed ora in prima linea).
Questa battaglia si riproduce nell’esercito, frantumato, che risponde a capi tribali tra loro rivali e non alle istituzioni di Sana’a. Non è un caso che il blocco di Saleh e gli huthi stiano convergendo strumentalmente contro le milizie sunnite, come testimonia la rapida avanzata territoriale di Ansarullah che ha conquistato territori sia sulla costa occidentale (Hodeida, terminal petrolifero) che nel cuore sunnita delle aree centro-meridionali (Mareb, Dhamar, Ibb).
L’ascesa huthi e il collasso del potere centrale stanno poi rinvigorendo Aqap che ora attacca non solo poliziotti e militari yemeniti, ma anche riunioni e celebrazioni sciite zaidite: pur di frenare la penetrazione degli huthi, molte tribù sunnite del centro-sud si stanno alleando con i qaidisti, alimentando una contrapposizione settaria che non fa parte della storia dello Yemen.
Infine, gli huthi sono sospettati di ricevere armi e finanziamenti dall’Iran, mentre l’Arabia Saudita, che sosteneva Saleh e poi Hadi, vede naufragare l’accordo di transizione negoziato dal Consiglio di cooperazione del Golfo nel 2011 e ha sospeso gli aiuti finanziari a Sana’a.
Eleonora Ardemagni, analista di relazioni internazionali del Medio Oriente, collaboratrice di Aspenia, ISPI, Limes. Sta frequentando il Master in Middle Eastern Studies dell’ASERI (Alta Scuola di Economia e Relazioni Internazionali).