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Ecco come Google e Uber vanno all’auto-scontro

Dai tassisti in rivolta ai nuovi rivali aggressivi, le difficoltà per il servizio taxi on-demand Uber non mancano, ma ora potrebbe arrivare un ostacolo veramente inatteso: la concorrenza di uno dei suoi primi investitori, Google. Uber ha infatti annunciato l’apertura di un centro di ricerca di robotica a Pittsburgh, dove svilupperà dei nuovi taxi che non richiedono conducente, ma Google, che già da tempo lavora sul progetto della self-driving car, sembra sia pronta a sua volta a lanciare la propria app di ride-sharing: un servizio, che si chiamerà presumibilmente dallo smartphone e si baserà sul posizionamento rilevato con le Google Maps, che permetterà di avere un passaggio da una delle auto senza conducente di Google che si trovano nella propria zona, condividendo il tragitto con altre persone.

CON GLI SCIENZIATI DEL MARS ROVER

Il laboratorio di ricerca di Uber a Pittsburgh verrà creato per “avviare lo sviluppo di una flotta di taxi autonomi”, secondo quanto riportato in anteprima da TechCrunch e poi confermato da Uber.

La società della taxi app starebbe assumendo più di 50 senior scientists del Robotics Institute della Carnegie Mellon University e del National Robotics Engineering Center, un ente di ricerca collegato con la Carnegie Mellon (che è l’università dove è stato realizzato il software per il Mars Rover e altri progetti di robotica di alto profilo). Uber svilupperà nel suo centro di Pittsburgh la tecnologia base dei nuovi taxi senza conducente, i taxi stessi e le infrastrutture associate.

In passato il Ceo di Uber Travis Kalanick aveva dichiarato che avrebbe a un certo punto sostituito i conducenti in carne ed ossa con auto-robot. Uber non ha fornito date sull’arrivo sul mercato dei suoi taxi senza guidatore; di recente, però, la società ha messo insieme 1,6 miliardi di dollari di prestito convertibile e in precedenza 2,8 miliardi di finanziamenti; ora è valutata 41 miliardi di dollari.

La scelta di Pittsburgh, Pennsylvania, è significativa. Qui Uber è vicina alla Carnegie Mellon e lontana dalla Silicon Valley, così può più facilmente tenere riservati i propri progetti.

IL PROGETTO RIVALE DI GOOGLE

Proprio nella Silicon Valley si trova infatti il potenziale rivale numero uno per Uber. Bloomberg scrive che Google sta studiando la possibilità di creare un proprio servizio taxi on-demand, sviluppato in congiunzione con il progetto delle auto senza conducente. Una notizia che mette Uber subito in una posizione delicata: Google, tramite la sua società di investimenti Google Ventures, è tra i massimi investitori di Uber, visto che le ha dato 258 milioni di dollari ad agosto 2013 (la maggiore operazione di investimento mai condotta da Google Ventures) e ha poi infuso una cifra superiore in un successivo round di finanziamento nel 2014.

David Drummond, chief legal officer e senior vice president of corporate development di Google, siede nel Cda di Uber nel 2013 proprio in seguito a quegli investimenti. Ora, secondo Bloomberg, Drummond ha informato i top manager di Uber dei progetti allo studio a Mountain View e gli executive di Uber hanno visto degli screenshot di quella che potrebbe essere la app di Google per i taxi autonomi (che, a quanto pare, i dipendenti di Google già usano). Il Cda di Uber starebbe addirittura valutando se chiedere a Drummond di dare le sue dimissioni dal board.

POSSIBILI SCENARI

Le fonti sentite dal Wall Street Journal sembrano ridimensionare la portata di queste notizie: Google, dicono, ha una app interna per i dipendenti che permette loro di condividere l’auto per andare al lavoro, ma questa app non è associata col progetto della self-driving car. L’eventuale applicazione per chiamare un taxi di Google sarebbe da sviluppare e lontana anni dalla commercializzazione; non sarebbe a rischio né la collaborazione di Uber con Google né la posizione di Drummond nel Cda di Uber, a meno che Drummond non ritenga spontaneamente di cadere in conflitto di interessi o che Uber non voglia rischiare di svelare segreti industriali a Google.

Big G ha dichiarato più volte che tra le sue tante ambizioni c’è quella di rivoluzionare i trasporti tramite i veicoli autonomi. Il chief executive officer Larry Page pare abbia una personale passione per le smart cities, le città più efficienti grazie alla tecnologia. Google ha indicato a inizio anno che la tecnologia della self-driving car che viene sviluppata dal laboratorio di ricerca Google X sarà pronta tra cinque anni (anche se non tutti gli esperti concordano) e alla fiera dell’automobile di Detroit dello scorso mese Chris Urmson, capo del progetto di Google per la driverless car, ha illustrato degli utilizzi per le macchine senza conducente; tra gli scenari possibili ci sarebbero driverless car che girano per i quartieri delle città e danno passaggi in modalità simile al carpooling, mettendo insieme persone che hanno destinazioni comuni o vicine.

Tuttavia le possibilità che Google si lascia aperte sono tante. Lo scorso mese Urmson (che ha studiato e lavorato come research professor nel ramo robotica proprio alla Carnegie Mellon University) ha dichiarato al Financial Times: “Si può immaginare che Google gestisca un servizio per condividere l’auto, Google potrebbe fare molte cose”. Ma, a detta di Urmson, Google potrebbe anche decidere di sviluppare le sue tecnologie per le funzionalità autonome per le macchine e venderle alle case automobilistiche; sarebbero queste poi a implementarle nei loro veicoli. “Abbiamo delle tecnologie oggi che sono veramente uniche”, ha affermato.

ELEMENTO CHIAVE: LE MAPS

Resta il fatto che, se Google sta veramente spingendo sul progetto della self-driving car in modo da creare anche una sua taxi app, Uber avrebbe di che preoccuparsi. Uber dipende da Google non solo per i capitali ma perché l’app per smartphone con cui si chiamano i taxi di Uber si basa sui prodotti di Google Maps; se Uber perdesse l’alleanza con questa applicazione dovrebbe usare alternative — come MapQuest di Aol o Apple Maps – considerate inferiori. Senza contare che, se Google decide di sviluppare un prodotto concorrente di Uber, ha sia i capitali che le tecnologie sofisticate per farlo; Uber, se vuole auto autonome nella sua flotta, deve o sviluppare la tecnologia da sola o formare un’alleanza con un’azienda che ha già la tecnologia.

Non stupisce quindi la decisione di aprire il centro di ricerca di Pittsburgh e di unirsi agli specialisti della Carnegie Mellon. E non a caso la partnership con questa università si concentrerà sulla ricerca e sviluppo nei settori “sicurezza del veicolo e tecnologia per guida autonoma” ma anche “mapping”, a sottolineare che le applicazioni per le mappe sono una delle chiavi per l’indipendenza di Uber e il successo della sua iniziativa.



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