Fa piacere leggere che il premier Renzi stia tentando di revisionare i compiti e le finanze del Ministero Affari Esteri dopo una serie di articoli e indiscrezioni che denunciano l’insostenibilità dell’attuale assetto della nostra rete diplomatica e consolare nel mondo. Non sono solo i criteri economici a pesare, quanto gli abusi che si manifestano nelle retribuzioni legate alle indennità, cui vanno aggiunti i fondi riservati per attività istituzionali, che non trovano giustificazioni plausibili nelle spese e tantomeno risultati concreti dal punto di vista delle attività diplomatiche e relazionali.
L’abolizione del concorso potrebbe essere l’inizio di una nuova era per i civil servant italiani. La SSPA potrebbe formare economisti, diplomatici e analisti di intelligence come in Francia accade da un secolo almeno. È la fusion intelligence capability quella che maggiormente viene richiesta ai diplomatici ed ai funzionari governativi nei Paesi occidentali.
Quella sensibilità intenzionale che gli uomini di Stato devono possedere per comprendere quando e come bilanciare gli interessi nazionali con le esigenze cooperazionali tipiche delle organizzazioni multilaterali quali Osce, Onu, Seae per restare in ambito europeo. Non parliamo delle infinite sigle che ruotano attorno ai continenti, alle organizzazioni economiche e di partenariato strategico che si stanno componendo e del cambiamento stesso delle minacce e delle opportunità cui il personale deve far fronte senza armi culturali e relazionali efficaci per risolvere situazioni, crisi e amplificare le potenzialità dello Stato con le istituzioni ospitanti.
Il mutamento stesso dei concetti di warfare, quadro di scenario e minaccia sistemica, non può essere affrontato con le competenze attuali dei candidati al servizio diplomatico. Andrebbe rivoluzionato il sistema di reclutamento nella PA, incluso il personale militare che porta in dote elevatissime competenze di social engeenering & state building, fornendo quadri di impiego che sostengano negoziati e processi decisionali includendo una capacità analitica di approccio, così come suggerito da alcuni tra i maggiori esperti italiani di geopolitica economica, come Paolo Savona e Carlo Jean.
Andrebbe sviluppata una dottrina di Stato che rispecchi gli strumenti e il linguaggio uniforme cui debbono sottoporsi i funzionari diplomatici per aderire alla rete diplomatica. Saper sviluppare conoscenza e influenza, proteggere gli interessi economici e salvaguardare i progetti di cooperazione e globalizzazione non c’entra con il proteggere i trattamenti economici riservati attualmente ai diplomatici. Ben si comprenderebbero se avessero prodotto risultati mirabili per il Paese, avessero contribuito al miglioramento della percezione del Paese e delle sue attrazioni con politiche di influenza sulla rete degli italiani nel mondo.
Potrebbe rivelarsi utile pubblicare i dispacci declassificati dei nostri ambasciatori cresciuti a cavallo dei due secoli precedenti per comprendere quale patrimonio esperienziale e dottrinario sia andato perso e cosa significhi divenire “autoreferenziali”.
Insomma, il premier Renzi se vuole riformare il MAE, lo faccia con criteri strategici e funzionali, non rincorrendo l’ennesimo spreco di denaro ma recuperandone l’efficacia cui necessariamente le nostre relazioni e i nostri uomini potrebbero ricorrere per il Paese.
A questo punto l’unica strategia adottabile sarebbe quella di unire tutte le Scuole e Accademie di Stato e farne un unico polo straordinario di competenze e scienze comparate, eliminando i concorsi di ruolo per poterne esaltare in futuro la capacità e la funzione all’interno del processo che ha già coinvolto la revisione del ruolo della difesa e dell’intelligence all’interno del nostro sistema di sicurezza della Repubblica.
Come e perché bisogna riformare la diplomazia italiana di Ardian Foti