L’ultimo richiamo è quello contenuto nel rapporto dell’OCSE, in cui si certifica che l’Italia “non ha raggiunto gli obiettivi prefissati” e si invita il governo a “portare avanti le privatizzazioni ed eliminare i legami proprietari tra enti locali e fornitori di servizi”.
Il governo si era dato l’obiettivo, di mettere sul mercato, per tre anni consecutivi, quote dei principali asset pari allo 0,7% del PIL annuo, garantendo che l’ “ambizioso programma di privatizzazioni” avrebbe assicurato già dal 2015 “il rapido rientro del maggior rapporto debito pubblico/PIL conseguente all’ulteriore pagamento dei debiti pregressi.”
La quotazione in Borsa di Fincantieri e RaiWay e la cessione del 35% di Cdp Reti non sono evidentemente bastate, e del mancato raggiungimento degli obiettivi il Governo era pienamente consapevole già a fine anno. Infatti il 28 dicembre scorso il viceministro dell’Economia Enrico Morando dichiarava l’intenzione del governo di recuperare pienamente gli obiettivi non centrati nel 2014 e che mentre “le quote di Eni ed Enel possono essere vendute valutando la situazione di mercato senza vincoli di tempo, quelle di Poste e Ferrovie sono più complesse e si stanno studiando analoghi esempi europei”.
Il giorno dopo, il 29 dicembre, nel corso della conferenza stampa di fine anno, Renzi ha rimarcato come sia “evidente che intervenire quando il mercato non lo consente non è una privatizzazione ma una svendita”; “nel 2015 andremo su Poste, stiamo lavorando al futuro di Ferrovie”, e inoltre “la privatizzazione ulteriore di Eni è tutta da verificare alla luce delle condizioni di mercato”.
Se è evidente quindi che conviene aspettare una situazione di mercato più favorevole per vendere, è altrettanto vero che ognuna delle privatizzazioni rappresenta un caso a sé.
Ad oggi si profilano tempi immediati per Enel, per cui si prevede il collocamento del 3-6% delle azioni entro febbraio.
Sono abbastanza ravvicinati i tempi per Poste – probabilmente in estate – per cedere circa il 40% delle azioni. L’ad Francesco Caio, infatti, ha presentato pochi giorni fa al Ministero dell’Economia il piano di sviluppo quinquennale approvato dal consiglio di amministrazione.
Per Ferrovie, invece, andrebbe districato il nodo dell’effettivo possesso della rete, che risulta in concessione statale a RFI per 60 anni ma anche di proprietà FSI (che grazie anche a questo si ritrova con un capitale sociale di circa 39 miliardi di euro).
Il sensibile calo delle quotazioni del petrolio induce ad attendere tempi migliori per la cessione del 5% di Eni.
Singolare invece la vicenda di Enav, società in piena forma, per la quale riesce difficile comprendere le vicende legate al rinnovo del Cda e alla mancata conferma dell’ad Massimo Garbini.
Una situazione nel complesso non certo facile per il governo Renzi, che va a sommarsi alla vicenda delle Banche Popolari e alla vicenda del voto multiplo per le società quotate in Borsa.
Nel primo caso aleggiano sia i dubbi di incostituzionalità per un decreto che vorrebbe d’autorità trasformare i soci di cooperative in soci di SpA, sia i sospetti circa l’esistenza di altri scenari e altre motivazioni.
Per quanto riguarda, invece, la vicenda del voto multiplo, questa ha provocato per la prima volta la reazione congiunta di oltre 80 tra investitori istituzionali, accademici e consiglieri non esecutivi. In una lettera inviata a Renzi per chiedere un passo indietro, essi affermano che la “credibilità e l’attrattiva del mercato azionario italiano dipende da un sostegno chiaro e non ambiguo al trattamento equo degli azionisti di minoranza, in linea con la legge italiana” e denunciano il rischio di un freno agli investimenti stranieri in Italia.
“Diversi osservatori ora si domandano se i tempi sono maturi per un “Britannia 2.0”, scrive nella sua newsletter Francesco Galietti, fondatore di Policy Sonar, evocando il leggendario episodio dell’incontro avvenuto il 28 giugno 1992 a bordo del “Britannia”, attraccato al porto di Civitavecchia, tra importanti politici e banchieri per discutere di privatizzazioni “big-time”.
Chissà se i tempi per un “Britannia 2.0” sono davvero maturi se, come ricorda Galietti, Renzi ha fatto delle privatizzazioni e del voto multiplo i punti di forza del suo intervento al World Economic Forum di Davos alcuni giorni fa.
E proprio il voto multiplo rischia invece di “diventare una spina nel fianco per Renzi dato che ha promesso di modernizzare l’economia italiana”, ma dovrà fare i conti con l’inconciliabilità tra raccolta di nuovi capitali e la necessità di mantenere quel controllo che gli ha permesso sinora di nominare 500 consiglieri d’amministrazione in oltre 70 società controllate dallo Stato.
In fondo, conclude Galietti, il governo italiano dovrà decidere se accogliere il “Britannia” o silurarlo, ovvero vuole sul serio privatizzare o vuole solo fare cassa?