Leggendo la sentenza della Consulta che ha dichiarato incostituzionale la Robin Tax a decorrere dalla data di pubblicazione della sentenza, al di là di ogni giudizio che rischia di scivolare nella retorica, sul fatto che finalmente la Corte ha sanato l’ingiustizia (seppure con estremo ritardo, violando dunque il diritto dei cittadini ad ottenere giustizia in tempi rapidi e certi… la norma è del 2008 e l’approdo alla Consulta della questione è del 2011) mi porta a compiere due riflessioni, saltando a piè pari lo spiegare cosa sia la Robin Tax perché ne hanno parlato a lungo tutti i quotidiani.
La prima riflessione riguarda la non retroattività della pronuncia al fine di non incidere negativamente sul bilancio dello Stato, per effetto della restituzione del maltolto.
Provate ad immaginare se fosse stata dichiarata l’incostituzionalità ab origine della norma tremontiana. Oggi Matteo Renzi, e per suo conto Pier Carlo Padoan, si troverebbero a dover restituire qualche decina di miliardi di euro alle imprese vessate dalla norma in questi sette anni (7 un numero pieno di significati…) con evidente danno per l’erario. In questo appare provvidenziale l’art. 81 della Costituzione che prevedendo il pareggio di bilancio, e dunque che non possano crearsi sbilanciamenti anche a posteriori di bilanci dello Stato già definiti, salva i sacri lombi del fautore del Nazzareno dal dover ricorrere ad una manovra aggiuntiva tanto imponente quanto impopolare per restituire il maltolto alle imprese, e ciò alla vigilia del parere della UE sulla legge di stabilità 2015.
Parere, quello che darà la Commissione Europea a fine mese, che sono certo riserverà per l’esecutivo renziano sorprese poco piacevoli sul fronte della concessione di deroghe favorevoli all’applicazione del reverse charge all’italiana e che, se negate, faranno scattare le clausole di salvaguardia con inevitabile aumento delle accise e dell’IVA.
Un accenno di questo scenario apocalittico lo dà il Sole 24 Ore che parla di avvisi informali sul l’impossibilità di concedere le deroghe da parte della UE.
La non retroattività della sentenza sulla Robin Tax, a mio modo di intendere, è debole da argomentare sulla base della fondatezza del teorema del pareggio di bilancio perché comunque se la norma viene dichiarata incostituzionale oggi è palese che lo fosse anche ieri, e dunque lo era dalla sua promulgazione (correo del danno alle imprese chi ha promulgato quella legge in spregio al dettato costituzionale!) e dunque resta implicitamente confermato il fatto che quella maggiorazione dell’IRES (oggi del 6,5% in più rispetto a tutte le altre imprese non del comparto energetico, peraltro variata nella percentuale e nella platea dei soggetti obbligati al pagamento nel corso degli anni) è illegittima e andrebbe restituita.
Se non verranno restituiti quei denari alle imprese sarà come se lo Stato, che in questo caso ha violato la Costituzione e preso soldi che non gli erano dovuti, si auto assolvesse con una giustizia di soccorso non più improntata al rispetto del diritto ma a logiche di bilancio divenute di comodo. Peraltro la modifica dell’art. 81 della Costituzione è successiva al varo della norma Tremontiana che, in questo caso, sa di beffa per i danneggiati reali dalla Robin Tax.
E qui scatta la seconda riflessione, forse più importante della prima, che coinvolge il modo di legiferare dei governi e del parlamento italiano, o meglio della capacità del Parlamento di opporsi alle incongruenze e ai capricci dei governi a tutela degli interessi dei cittadini che li hanno eletti e delle imprese che sono il vero motore del Paese. Mi spiego: come si fa, alla luce di questo ennesimo schiaffo dato dalla Consulta ad un certo modo di legiferare dilettantesco di una classe politica, a trovare una giustificazione plausibile che ci faccia accettare il danno economico prodotto da una norma dichiarata incostituzionale, senza che ci si senta spinti a cercare giustizia presso altre e più autorevole assise internazionali?
Come possono difendersi i cittadini e le imprese dai danni creati dall’approvazione ed entrata in vigore di norme che poi vengono dichiarate incostituzionali?
Non possono difendersi, è questa l’amara verità. Purtroppo ciò dipende anche dal sistema elettorale che non punisce il legislatore che sbaglia. E l’italicum renziano, che null’altro è che la pessima copia del già pessimo porcellum, non risolve il problema.
Il brutto di questa faccenda, e l’assurdo che ne emerge, è che da oggi il Parlamento potrà liberamente e senza nessuna responsabilità reale, se non morale (almeno quella!), approvare anche leggi palesemente incostituzionali, tanto poi la Consulta, solo dopo che cittadini coraggiosi o imprese coraggiose avranno deciso di ribellarsi, come ha fatto la Scat di Reggio Emilia, formulerà il proprio giudizio di incostituzionalità a decorrere dalla sentenza perché il bilancio dello Stato sia salvo in nome dell’art. 81 della Costituzione, e ciò magari impiegando anni e anni.
Ma il danno sarà stato fatto.
Ditelo alle imprese vessate dalla Robin Tax che in questi sette anni, se non hanno chiuso battenti, hanno certamente licenziato dei dipendenti strette nella morsa della dolorosa scelta tra il pagare le tasse – rivelatesi ingiuste – o il salvare posti di lavoro.
Ditelo alle famiglie di coloro che, forse non solo per la crisi ma anche per colpa della Robin Tax voluta da Giulio Tremonti, hanno perso il lavoro.
Ecco, io credo che debba essere ripensato il modo di legiferare di certa politica recuperando quell’etica del bene comune che non deve e non può più soggiacere alle logiche perverse che spingono i governi a ideare e proporre leggi o norme di finanza creativa, che poi si rivelano incostituzionali, pur di fare cassa nell’immediato. Occorre ripensare il fare politica e il ruolo del legislatore legando quest’ultimo a obiettivi di risultato, con responsabilità dirette, in un’ottica di risanamento strutturale del Paese attraverso una revisione vera e fattiva della spesa pubblica che è fuori controllo.